Le

RAGIONI

A’     P  R  O

 

Dell’Univerfità,  e Cittadini della Terra di Lungro,

per la caufa tengono nel Regio Col-

lateral Configlio

 

C  O  L

 

Signor Principe di Bifignano

del 1712

A cura di Domenico CORTESE

PRESENTAZIONE

 

Per chi naviga in internet ed è alla ricerca di notizie, documenti, atti, ecc. non può non collegarsi con il Servizio Bibliotecario Nazionale (www.sbn.it) che altro non è che la rete delle biblioteche italiane a cui aderiscono biblioteche statali, di enti locali, universitarie, di accademie ed istituzioni pubbliche e private.

            All’interno del sito  sono andato alla ricerca di notizie che riguardassero  gli albanesi in generale e Lungro in particolare e ho scoperto,  tra le tante opere interessanti presenti, anche il documento qui riproposto, allogato presso la Biblioteca della Società di Storia Patria  di Napoli.

            Il documento, datato 20 novembre 1712,  è l’atto di difesa del Comune di Lungro e dei suoi abitanti contro il Principe di Bisignano, Giuseppe Leopoldo Sanseverino,  in quanto  il Signor Principe di Bisignano abbia avuta convenzione col Signor Duca della Saracena di comperarsi la di lui giuridizione criminale, e mista della Terra di Lungro …..e condizione però, che le persone di detta Terra di Lungro avessero dovuto vendere al Signor Duca della Saracena tutte quelle vigne, ed averi, ch'elleno possedevano nel Territorio della Saracena, ed altresì, chegli avessero dovuto cedere il jus di pascolare, legnàre,& adacquare, che le medesime aveano da tempo immemorabile in tutto l'ampio Territorio della Saracena, …….”

In effetti quello che denuncia Antonio Mascaro, difensore  dei   lungresi,  non è altro  che un  accordo  tra  i  due signorotti per risolvere bonariamente una lite: la giurisdizione su Lungro.

              I Bisignano si erano opposti alla vendita dei diritti sul paese ad altro nobile, da parte del Duca di Saracena, sostenendo che nell’atto di vendita ai Pescara del 1621 risultava scritto che loro avevano diritto di prelazione in caso di ulteriore cessione.

L’accordo raggiunto consisteva nel ritorno dei diritti su Lungro ai Bisignano e nell’abbandono delle terre comprate, dissodate e coltivate dai lungresi dopo il fiume Tiro, territori allora di Saracena. Ai lungresi venivano offerti, in cambio, zone incolte e selvagge, ricetto di fiere e pascolo di cinghiali.

I cittadini di Lungro non erano intenzionati a vendere e, quindi, lasciare ad altri il frutto del duro lavoro svolto per rendere coltivabili i terreni,  per cui si sono rivolti  al Mascaro, avvocato dei “poveri” (altre cause da lui fatte: Ragioni per la regia città di Scigliano, contro al magnifico barone di Pittarella Nicolo Matera e Ragioni per li RR. PP. Carmelitani Scalzi dell'Ospizio di Castellone di Gaeta con la magnifica Giulia Alvina Pacifico) per difendere i loro interessi.

            Nello stesso tempo  però,  a causa del ricorso lungrese e per alcuni avvenimenti succedutisi che ci descrive il Tajani,  i due contendenti litigarono e anche loro si rivolsero alla giustizia.

Da quanto emerge dagli scritti del Tajani e del De Marchis, questa controversia venne risolta nel 1716 a favore dei Bisignano.

Della vertenza lungrese non c’è alcun accenno. Si presume  che,  non  avendo  finora  trovato  scritti  in  merito, la questione non ebbe alcun seguito anche perché, a memoria, non risulta che ci siano stati possedimenti   lungresi   nella zone a loro destinate e che molti terreni  dopo il fiume Tiro, quelli della controversia, siano rimasti ai lungresi ed oggi sono parte integrante del Comune di Lungro. 

Occorre,  per capire meglio il documento, dare un breve sguardo sulla situazione politico-amministrativa di quel periodo.

           I territori di Lungro facevano parte del Regno di Napoli. In quegli anni (1707)  il Regno passò dalla dominazione spagnola, periodo in cui aveva perso ogni autonomia e le sue condizioni economiche erano peggiorate, agli Asburgo d’Austria che governarono fino al 1734, anno in cui  diventò indipendente  e il sovrano assunse il titolo di Re di Napoli. Gli austriaci governarono Napoli avviando alcuni tentativi antifeudali che non giunsero mai a compimento.

In Calabria eravamo in pieno feudalesimo e  i signorotti facevano il cattivo e il bel tempo usando anche la violenza, se occorreva. Ma siamo anche nel periodo in cui   i vecchi feudatari incominciavano a perdere “qualche colpo” a favore dei nuovi ricchi. Infatti nella seconda metà del settecento si contavano, come scrive il Placanica in La Calabria, 28 principati, 24 ducati, 31 marchesati, 12 contee, 123 baronie con vassalli, 124 baronie rustiche. Inoltre su alcune alienazioni della Cassa Sacra di Calabria: ”In quell’occasione, su 2876 acquirenti, i baroni furono 63, con 191 fondi: loro competitori furono 998 borghesi (“don” o “magnifici”), 34 notari, 27 dottori fisici, 93 preti, 228 massari, 4 maestri, 2 vedove e 1427 non qualificati”.

Cartina dell’Italia  fine ‘600

La situazione lungrese, invece,  ce la descrivono Domenico De Marchis  in  “Breve  cenno  monografico del Comune di Lungro” (1856) e Francesco Tajani in “Albanesi in Italia” (1866).

Tajani: “….da questa nel 1621 nuovamente a Giovambattista Pescara Duca della Saracena, dei Principi della Scalea. Fu qui che un Giuseppe Leopoldo Sanseverino avvalendosi della inibitoria  al primo compratore  di alienare quei  feudi,  affacciò il diritto di devoluzione. Un'aspra contesa agitò contro la casa Spinelli divenuta padrone di Scalea e di Saracena, collo intento di rivendicare i territori, la giurisdizione sopra Lungro, e il palazzo baronale quivi esistente, forse dall'ultimo acquirente Spinelli edificato.

Da una cronaca, sebbene apocrifa ma confirmata dagli atti, leggiamo che il Marchese del Vaglio e il Marchese Serra si fossero interposti tra i contendenti, e forse il Pescara divenne a rivendere i beni al Bisignano, poichè questi faceva riscuotere la tassa dei fuochi in Lungro da un tale Paolo Cucci. Ma quando la contesa credevosi composta, o almeno sarebbe stata prudenza di attendere la risoluzione della regia Camera, il paese in due fazioni erasi partito, ed eccitato dal Duca di Saracena a brutti fatti si fè trascinare. In un giorno quale fu il 20 aprile del 1711 lo Erario del Conte dai partiggiani contrari fu proditoriamente ucciso, grande clamore levossi contro i sospettati autori del delitto, il  cadavere  si  trasportò in Altomonte  ove  il  Conte  risiedeva. Quattro dei figli del Cucci , e   quattro  fratelli   bene  armati   non   potendo    far   altro  per vendicarsi gravi danni sul territorio di Saracena apportarono.

 Non per anco decisa la lite, stizziti gli animi cinque anni dopo ad altri attentati trascesero. Cadeva la elezione del Sindaco, ciascuno  dal  proprio partito  il voleva; per riuscirvi un Carlo Spinelli con una boriosa gualdana, la si disse di cinquecento armigeri, entrò in Lungro, onde imporre a viva forza su gli elettori. I migliori cittadini ben  prevedendo  quali  disturbi ne venivano per garantire la libertà del voto temporeggiando implorarono dal Vicerè Conte Daun la presenza di due regi Ministri, di fatti il Notaro Ariano Antonio e Grosso Francesco Giudice degli atti correvano in Lungro per assistere alla elezione. Lo Spinelli pretendeva che prima del di costoro arrivo si fosse proceduto, gli avversari tenevano fermo, sicchè vennero all'uso delle armi, nè i regi Ministri arrivati nel momento del conflitto furono buoni a rimettere l'ordine; anzi il Notaro Ariano fu trucidato, il Giudice ferito scappò, l'abitazione del Cucci data alle fiamme, un di lui figlio prete imprigionato. Sopraffatti dal maggior numero i sanseveriani si chiusero nel convento del Carmine a poca distanza dal paese, la zuffa terminò con non pochi guasti nelle campagne. Alla fin fine la regia Camera nel luglio del 1716 emise la sentenza favorevole al Bisignano, confermata dallo imperiale assenso nel dì 8 marzo 1717 con che i feudi venduti, e la giurisdizione di Lungro al Conte di Altomonte ritornavano”.

De Marchis: “Il territorio badiale diviso dal fiume Tiro da  quello della Saracena era troppo augusto ad offrire tutti i mezzi da sussistere alla popolazione, la quale da anno in anno progrediva nel suo incremento, quindi fuvvi astretta ad impetrare da quel Barone delle terre a dissodare, onde renderle proficue all'agricoltura -Ottenne infatti delle concessioni sotto svariati titoli riconosciuti 8 dalla legge, e mentre il Feudatario da un canto ritraeva il suo utile nell'aumento della rendita,  gli  Albanesi dall'altro laboriosi, e robusti per natura

fertilizzarono una vasta Contrada , quasi tutta irrigabile, da cui proventarono col tempo immensi vantaggi - Nel successivo poi, essi addivennero assoluti padroni tanto in forza di definitivi acquisti , e di enfiteutiche Censuazioni, quanto per dritti conseguiti dalla Divisione Demaniale.

Per la Conservazione, e buona guardia di tali beni, gli abitanti di Lungro con  istrumento  redatto  nell' anno  1622.. munito  di  Regio Assenso , per Notar Marco di Rago del Comune di Altomonte, acquistarono dall'Università di Saracena la buona-tenenza , che fedelmente corrisposero fino alla abolizione della feudalità….

Dal riscontro di tali documenti colsi il destro di osservare in primo luogo, che sin dal 1612, la terra della Saracena faceva parte del patrimonio di Bisignano, poiché nel giorno 30 agosto di detto anno, si scorge interposto Decreto di Assenso per la vendita ad estinto de Candela, e pel valore di ducat i 45 mila  a   beneficio  del  Duca  di  Laurenzana.  Ed  in secondo,  che il Casale di Lungro nel 1516 assumeva di già il nome  di  Università,  prerogativa  che  le accordava  il   diritto di eliggere nel proprio seno i suoi Amministratori;  ordinare il particolar catasto, e disporre delle rendite a norma dei Comunali bisogni. Ciò si rileva dalla dicitura di Sebastiano della Valle nel sù nominato decreto, ove si esprime « et dictam Universitatem Lungri.

                Dietro lo svolgimento di centosettantacinque anni, D. Francesco Pescara duca della Saracena con istrumento del 20 gennaio 1716 per gli atti di notar Gennaro Palomba di Napoli alienava a favore della casa Spinelli principe della Scalea i Fondi, giurisdizione , e dritti , che i suoi illustri antenati acquistati   avevano nel  1531  dal  principe di  Bisignano, una cum Palatio qui condidid in oppido Lungri Exellentissimo  Pescara. Ma sia per effetto del ritratto couvenzionale, o del patto    di   non  alienare   apposto  nell’istrumento  del  1531 imponente la devoluzione a beneficio del Venditore Bisignano , egli è certo che un di costui erede introdusse avverso la casa Scalea impetuoso giudizio di pattuita prelazioue nel Sacro Regio Consiglio, il quale ben accogliendo l'istanza , ne sentenziava la dietro vendita. Alla ostinata renitenza del Convenuto, per biglietto del Conte Daun, allora Vice Re di Napoli, destinavasi la persona del giureconsulto Nicolò d'Affitto a formolare in nome del ritroso Spinelli il legale istrumento a pro di D. Giuseppe Leopoldo Sanseverino, previa assistenza del reggente de Miro. Nel 1717 il titolo ebbe la sua conferma col privilggio del reale Assenso nell’8 marzo, registrato in privilegio 25 fol. 92 a terg., ed i sù feudi Serra della giumenta, Leone Russo, Malerose, non che i dritti sulla giurisdizione di Lungro, ed i carlini 3 a fuoco gravitanti sul Casale rientrarono sotto il dominio del pristino barone. 

Piantina di Lungro del 1713

 

PAGINA 1 riscritta

J.M.J.

ra , e malagevole fembra a prima vifta l'imprefa de' poveri Cittadini  di  Lungro   il   prefentimento di vendere le loro vigne, e poffeffioni al Signor Principe di Bifignano così

qualora   la Terra di Lungro restaffe  fotto  la  giuridizione del Sig. Principe di Bifignano.

Per darli effetto alla quale covenzione fuppone il Sig. Principe, che poffanfi coftringere ipoffeffori delle robbe proprie di Lungro

fe fì riguarda l’alta potenza , ed autorità di si  Illuftre Principe, u come la baffezza,e mendicità di  quefti poveri sfortunati; mà fe dall'altra parte mirafi con attenzione all'incomparabil dottrina, ed integrità de’ fupremi Miniftri , che la prefente controverfia dovran decidere, refterà taluno , come lo fperiamo , difingannato da quefta falfa openione.

Refta dunque à noi il carico di dimoftrare brievemente, giacchè il tempo, ed il bifogno della caufa non permette il  dilungarci, che l’apprezzo  delle vigne, e poffeffioni di quefti miserabili, ordinato dall'Illuftre Duca di  S.Nicolò, Spettabile Signor Reggente Gaeta,degniffimo Commiffario di quefta Caufa, quantunque ad inftructionem, & ad finem   pro-videndi ,  non poffa fuffiftere ,  e come tale debbiafi  rivocare , e  che  il  volere  forzare  glì  abitatori  della  Terra  di  Lungro à vendere le proprie robbe , e la mifera eredità de' loro Maggiori , ciò non poffa aver luogo, fenza  violarfi prima tutte le leggi umane, e divine.

E' indubitato  per fatto  che il Signor Principe di Biflignano abbia avuta convenzione col Signor Duca della Saracena di comperarfi la di lui giuridizione criminale, e mifta della Terra di Lungro per quel tanto farebbe  apprezzata da Regio Tavolario, che effe parti di pari confenfo avrebbero eletto, con patto, e condizione però, che le perfone di detta Terra di Lungro aveffero dovuto vendere al Signor Duca della Saracena tutte quelle vigne, ed averi, ch'elleno poffedevano nel Territorio della Saracena, ed altresì, chegli aveffero dovuto cedere il jus di pafcolare, legnàre,& adacquare, che le medefime aveano da tempo immemorabile in tutto l'ampio Territorio della Saracena, col pretefto di fvellere affatto ogni radice di difcordia, che in avvenire accader potrebbe  

 à quelle vendere ed a cedere il jus della promifcuità,che quelli hanno in tutto il Territorio della Saracena  dandofi à coftoro il prezzo. ò altrettanti beni stabili nel Territorio di Altomonte,  ed il jus della promifcuità nelle difefe di detto Signor Principe .

Quanto ciò rendafi malagevole, e moralmente impoffibile fcorgefi  apertamente dalle feguenti ponderazioni.

Siede  in  mezzo delleTerre di Altomonte  e della Saracena la Terra di Lungro. Vicino alla quale diftante da cento paffi in circa fcorre un picciol rio chiamato Tiro  nel di cui feno Territorio della Saracena ftanno fite le povere  capanne.vigne, poderi e poffeffioni di gelfi  ulivi e di altri alberi fruttiferi di quefti miferabili  che portando il di loro crudo deftino d'effer forzati a quelle   vendere, farebbe lo fteffo, che privargli della libertà, fenza lafciargli il modo di più vivere colle proprie foftanze  ed induftriarfi cogli animali vaccini, porci, capre, giumenti, e di confimile fpecie che per la vicinanza del luogo non potrebbero far di meno di non entrare nel Territorio dell'Illuftre Duca della Sàracena onde loro farebbe fpediente, ò non tenergli, ed abbandonare le industrie, ò pure ftar fempre colle armi alla mano, non effendo poffibile, che per le angufte del luogo fi poteffero riparare gl'inconvenienti, ficome non è poffibile raffrenare l'empito di un fiume, quando quefti rapido inonda gli altrui Territorii.

Nè di minor pefo farebbe il confiderare,  che quelli reftarebbero gli più afflitti, e fconfolati uomini. che ritrovar fi poteffero nel mondo,  vedendofi aftretti fenza commettere delitto à privarfi in vita di quei luoghi, ove eglino, e li di loro Maggiori fon nati, e crefiuti, one hanno fparfi tanti fudori, e vi è radicata l’affezione di tanti anni, per vedere in quelli verdeggiare le viti, e fiorire quegli arboscelli che fon dolce parto delle di loro.

 

 

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