LA TRADIZIONE POPOLARE DELLA COMUNITA' ARBËRESHE DI LUNGRO

di Giovanbattista Rennis

 

Giovanbattista Rennis è nato e vive a Lungro. Laureato in Lingue e Letterature Straniere Moderne e in lettere classiche, è docente di lingue.

Ha frequentato per tre anni il Conservatorio di Santa Celilia a Roma, è direttore della corale greco-albanese di Lungro "I Paràdosis" (La Tradizione) e del coro polifonico "San Nicola di Mira"

Ha pubblicato, inoltre, diversi studi sulla poesia popolare albanese, un saggio su Simeone Orazio Capparelli e il volume "La tradizione bizantina della comunità italo-albanese".

 

L'opera consta di 2 volumi con complessive 700 pagine. E' corredata da 70   fotografie e 15 disegni e da un CD rom.

E' stata stampata nel settembre del 2000 presso la "Grafica del Pollino" di Castrovillari per conto della Casa Editrice "il coscile" di Castrovillari.

 

LETTERA  DEL PROF. LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI

Egregio Professore Rennis,

ho ricevuto il dattiloscritto della Sua Opera e, ringraziandoLa, desidero esprimerLe il mio più vivo compiacimento per aver dato una testimonianza così ampia e articolata della comunità arbëreshe di Lungro.

Circa 120 anni fa Vincenzo Dorsa, come Lei stesso ricorda, scriveva riferendosi alle tradizioni popolari della sua ricerca: "sono indotto a raccoglierle e registrarle giacché l'età presente irrequieta col turbinio de' subiti rivolgimenti cancella o trasforma ogni cosa non a gradi, come nell'ordine naturale, ma a salti precipitosi e impreveduti. Fra pochi altri anni molte di esse spariranno affatto e i nostri nipoti meraviglieranno che sieno durate sino al secolo decimonono".

Del resto, tutta la produzione dei demologi otto-primonovecenteschi è cadenzata dalla motivazione, più volte ribadita dell'utilità della rilevazione dei dati folklorici in via -così si presumeva- di rapida, inarrestabile scomparsa, dato l'affermarsi di una generica e temuta, vita "moderna". Questa ansia di rilevazione diede frutti rilevanti, per cui siamo in grado di conoscere i tratti essenziali della cultura folklorica meridionale.

Ma, anche se gravida di risultati positivi, si trattava di convinzione sostanzialmente erronea. La vita delle forme culturali non è breve, nè si svolge sempre in superficie. Ogni cultura -e quindi anche, ovviamente, quella popolare- vive nel tempo, permane e si trasforma più o meno lentamente, per cui non può essere irrigidita in un' astorica gabbia -l' «arcaico» o il «tradizionale» -che erosa dall' incalzare dei tempi successivi, precipiterebbe in un nulla non confortato da luce di memoria o da tensione di prospettiva.

La Sua opera, condotta con estrema cura e con attenzione partecipe, testimonia della salda persistenza nella comunità di Lungro della cultura folklorica tradizionale e dell' ampiezza delle articolazioni di tale cultura.

Queste vengono indagate con specifica attenzione, si tratti delle attività dei contadini, dei pastori, dei minatori, degli artigiani o della dimensione femminile, spesso non riconosciuta nella sua specificità.

Le credenze popolari e le cosiddette "superstizioni" -ma quando decideremo di sostituire questo termine cosi denso di carica valutativa?-; il costume tradizionale, sia maschile che femminile; la vita sociale e la religiosità popolare vengono riportati nei loro tratti essenziali. Ne viene in alcun modo trascurata l'alimentazione, che è ambito relativamente recente nella rilevazione demo-etno-antropologica; penso, per tutti, ai lavori di Ottavio Cavalcanti eVito Teti.

Il ciclo della vita o "dalla culla alla bara" è stato il filo rosso che, nella storia degli studi demologici, ha rappresentato l' asse attorno al quale aggregano i dati via via rilevati. Anche nel Suo lavoro tale asse costituisce lo strumento attraverso il quale viene comunicata una massa notevole di dati che confermano ancora una volta, se pur ve ne fosse bisogno, come sia infondata la presentazione della cultura folklorica in chiave di una "semplicità" che, in effetti, più che l'elementarità di tale cultura -in realtà estremamente articolata e complessa, come, del resto, tutte le culture-, testimonia la miopia di suoi interpreti esterni, spesso saccenti e presuntuosamente giudicanti.

Anche la musica e la danza sono opportunamente presenti nella Sua opera e su di esse si sofferma, con la competenza che le viene ampiamente riconosciuta, Roberta Tucci.

Favole, detti e proverbi filastrocche; in altri termini, le espressioni formalizzate della cultura folklorica arricchiscono notevolmente questo repertorio, vasto, approfondito e accurato, della cultura di un paese e, per ciò stesso, della cultura di una società. Infine, un arricchimento ulteriore è dato dalle fotografie. Ho voluto ripercorrere, per quanto in maniera estremamente sintetica, l' andamento della Sua opera per sottolineare come essa sia frutto di un lungo impegno di ricerca. Un impegno attento e partecipe, che va quindi riconosciuto e apprezzato.

 

LA TRADIZIONE BIZANTINA DELLA COMUNITÀ ITALO-ALBANESE

"L'intuizione di Giovanbattista Rennis è quella di vedere nella vita religiosa di un'intera comunità, nelle festività che scandiscono il tempo, nella fedeltà e nella conservazione di un rito, quello bizantino-greco, l'essenza di tutto il mondo arbëresh, che è ancora straordinariamente vivo, dopo cinque secoli dal suo insediamento in Italia.

L'opera del rennis si articola in tre parti: l'eredità spirituale bizantina della Chiesa italo-albanese, con precisi e puntuali aspetti storici, religiosi e sociali sulla comunità di Lungro.

Nella seconda parte tratta, in modo diffuso ed esauriente, dell'anno liturgico bizantino e del ciclo delle festività del Signore, della madonna e dei santi principali, che si venerano a Lungro.

E' la terza parte, che raccoglie i canti popolari sacri di Lungro, a rendere il volume prezioso e fondamentale per la conoscenza e la definizione dell'identità di questa comunità arbëreshe...."

Mario Pietro Tamburi