SEP SEREMBE

Giuseppe Serembe nacque a S.Cosmo Albanese il 6 marzo 1844 da famiglia agiata. Inizia i suoi studi presso il Collegio di S.Adriano in S.Demetrio Corone, che aveva come insegnate anche De Rada. Gią all’etą di 14 anni componeva “La canzone d’amore”,  brano ispirato alla lirica popolare. Spirito ribelle, sempre in contrasto con la societą circostante, dopo pochi mesi abbandonava il Collegio.

Girovagando per l’Europa ed il mondo, continuņ nella sua produzione letteraria sia in arbėresh che in italiano. La sua opera pił famosa č “Elegia”.

Muore nel 1901 a S. Paolo in Brasile.

 

Le poesie che vi presentiamo, tratte dal testo "Omaggio a Giuseppe Serebe" (Ed. - Vatra 1988), sono state scelte perché rendono omaggio a due personaggi arbėreshė che si sono battuti per l'unitą d'Italia: 

il lungrese Pietro Irianni ed il sandemetrese Domenico Mauro.

 

PĖR VDEQEN E PJETER IRJANIT(In morte di Pietro Iranni)

Pietro IRIANNI, soprannominato "Kėsulja" nacque a Lungro nel 1830 da famiglia aperta alle nuove idee di libertą.Nel 1859 prese parte all'insurrezione organizzata da Vincenzo Stratigņ riuscendo a sfuggire all'arresto. Nel 1860, a capo di una compagnia dei volontari di Garibaldi, si distinse nella battaglia del Volturno. Nel 1866 lo troviamo ancora con l'eroe dei due mondi, essendosi arruolato nei Cacciatori delle Alpi col grado di colonnello. Morģ a Lungro il 3 luglio 1898 all'etą di 68 anni.

 

E fjuturove e mbjana na ljėreve
posi drita ēė dieli njo pushon,
mė par sa tė koljarinj, siper reve.
Vajte si era ē'heljme vrundulon,
e boten merėngon, jeten e ngrin
e shkoqen fjeta e ljulje ndė lavin.


S'ishe pjak kur tė ra mbė ljip kumbora
anamesa valjtimėvet e ljot.
Miqėvet e gjėrivet iku fora,
i ra harea pėr shum vjet e mot
kur te varri tė vun, nga ku mė fare
zaja jote sė trindėlen hadhjare.


Ti burr ndė burrat qeve, se nga dit
e me fjalja e me puna bėre nder,
sė ndikurove fare ndė tė prit
burgu a [njė] dėnes pėr krien e prer,
se, o rrėmbi i Gjeēit Madh, mbajte ndė dor
e penden e lavuten si drangor.


E tė bekuan Arbėresht me mal,
se shpresen ti ja zgjove pėr sė ri
tė kthehēin nj'ater her te shėjti zal
pėr t'faljur gjakun nėnes Shqipėri.
E sė fajtove ti ndė ng'eci prana
vandilja ku pėshtjelj vėdiq Urana.


Qeve me pakė shok e mosnjeri
ndieti zjarrmin ēė pate ti ndė gjir.
Kurrkushė tina shkojti nd'urtėsi
e kurrkush pati zėjėn mė [tė] mir,
se Shqiptaret s'i donje sherbėtor,
po vėlezer tė ljir e punėtor.


E mbete ndė katund te e jote shpi
si nj'il i thjelė anamesa ret,
si nj'il ēė shtie driten nd'errėsi
e rri si Shėngez pėr kush ė ndė det,
e m'atė dritė zėmren tėn gėzove
edhe heren e madhė e afėrove.


Udhen e dreqt vijove ti pa dre,
vėlezet rrizikove edhe gjirit,
vulnesen sė ndėrrove kurr mbi dhe,
tė ljigat nuk i njofe e gedheljit.
Donje pėr Arbėrin nje titibuj,
pėr gjakun tėn ēė nuk do bėnet uj.


E sot njo afer varrit ku pushon
kurmi itė, se shpirti rri ndė qiel,
qaset gjindja e ponimė e tė bekon,
kuljtimet e lavdhit me mal tė siel,
ljulja tė siel e shum tė shprishen ljot,
se atmen e dishe mir pėr mot e mot.


Nga varri it dhe besa neve vjen,
besa ēė ngjalen shpresen e fuqin,
dhe shpirti it nga ljarti parasten
burratė tan ēė te Plakori rrin,
kurna pėr Mėmėdhen si paraver
mė e bukur hapet gjela e mė e gjer .


Zoti Pjeter, ahere i rrjedh me drit
te vala e Pėrendisė gjith na pret
me fjaljėzen e mir posi njė dit,
posi kur inje te kjo e mjera jet.
Ahere s'perėndon, se dielat rrin
e Perėndi i zbuljuar pushtron gjithin.

 

Volasti via e ci lasciasti all'improvviso
come la luce adagiata dal sole ,
prima del tramonto, sulle nubi.
Fuggisti come il vento che mormora affanni,
attrista la terra, gela il mondo
e getta fronde e fiori nel rigagnolo.


Non eri vecchio quando per te suonņ a lutto
la campana tra pianti e funebri lamenti.
Amici e parenti persero ogni baldanza
e ogni gioia per lunghi anni,
quando ti collocarono nel sepolcro da cui
pił non risuona la tua voce gioconda.


Fosti eroe tra gli eroi, perché ogni giorno
con parole e opere ti facesti onore,
non curando se ti attendeva
il carcere o la condanna a morte,
che, o rampollo del grande Giorgio, tenesti
in mano penna e spada come un leone.


Con affetto ti benedissero gli Albanesi
che loro ridestasti la speranza
di tornar nuovamente al santo lido
a offrire il sangue alla madre Albania.
E non fu colpa tua se non avanzņ la bandiera,
nella quale morģ avvolto Urana.


Fosti di pochi amici e nessuno
avvertģ il fuoco che ti bruciava in petto.
Nessuno in saggezza ti superņ
e nessuno sortģ anima migliore ,
chi! non volevi schiavi gli Albanesi,
ma fratelli liberi e laboriosi.


E stesti in paese nella tua casa
come chiara stella fra le nubi,
come stella che illumina le tenebre
e fa da segnacolo ai naviganti.
Con quella luce ci rallegrasti il cuore
e avvicinasti il grande momento.


Segnasti senza timore la retta via,
mettesti a repentaglio fratelli e parenti,
mai in terra deflettesti dal proposito,
ignorasti malvagitą e adulazioni.
Volevi un trionfo per l'Albania,
per il nostro sangue incorrotto.


Ed ecco, oggi alla tomba dove riposa
il tuo corpo, che lo spirito sta in cielo,
s'avvicina la gente rispettosa e benedice,
ricordi e lodi ti offre con affetto,
ti offre fiori e versa lacrime,
chi! ognora amasti la Patria.


Dalla tua tomba a noi viene la fede,
la fede che risuscita speranza e vigore,
e il tuo spirito assiste dall'alto
i nostri uomini che siedono nel Senato,
quando, come una primavera, pił bella e ampia
si dischiude la vita per la patria.


Signor Pietro, allora, circonfuso di luce,
nella danza divina tutti ci attendi
con la dolce parola come un tempo,
quando vivevi nel misero mondo.
Allora pił non tramonterai, che s'eternano i soli
e un Dio svelato ricoprirą l'Universo.

DHUMINK MAURIT (A Domenico Mauro)

Domenico Mauro nacque a S. Demetrio Corone nel 1812.

Iscrittosi alla Giovane Italia, fu tra i promotori dei moti cosentini del 1844. Prese attivamente parte ai moti del '48 a Napoli e in Calabria. Partecipņ alla difesa della Repubblica Romana. Fece parte della spedizione dei Mille con il grado di generale distinguendosi in tantissime occasioni.Scritto e poeta, fu pił volte eletto deputato.  

Morģ il 19 gennaio 1873

Tė falja, burr! Nga buza jote shket
tė foljurit me nder e drejtėsi.
Ti trimat gjith i shtin n'at maljėsi
mbi ku drita e ljiris shkėljqen e nget.


O sa angime tina bėn te shkret!
Sa suvalja t'u vun si mbarrati!
Tė gjith mundimet shkelje e dole mbi
e nderove katundin tėn nė jet.


U mbjake sot? Mendimin tėnd tė gjer
thel me thel te diturit e shtin
psen e njeriut pėr me gjėn ndė dhe.


E nuk u ljodhe? Me kujdhes e ore
thel mė thel te urtėsia ti fisen sin,
se do t'e diē si Pjazma u ka ljer .

Salve a te, uomo! Dalla tua bocca sgorga
Con rettitudine ed onore la parola.
Tu spingi i giovini tutti additandoli il monte
Dove la luce della libertą splende e cammina


Quanti foschi patimenti non ti fecero disgraziato
Quando le onde della terra ti si posero d'impaccio
Ma tu calpestasti tutti i dolori, uscendogli sopra
Ed empisti di gloria il nostro paese pel mondo.


Ed oggi t'invecchiasti... ? Ma col vasto pensiero
Vai peregrinando nuovi mondi, scuotendo le tenebre
Per trovar la cagione dell'uomo che č sulla terra.


E non ti stanchi? Ma con sudori e con attenzione
Pił profondo nelle dottrine addentri l'occhio,
che il vero tu lo vuoi sapere proprio come nacque.