Da "....Verso l'oro del mondo" - Fasano Editore 1984

(L'opera è stata presentata il 30 agosto 1984, presso la Biblioteca Comunale, in occasione del terzo anniversario della morte di Silvio Martino - Relatore il prof. Alessandro Rennis)

Silvio Martino nacque a Lungro, il 7-5-1934.
Sin dalla giovane età si impegnava con singolare passione ed intelligenza negli studi pedagogici, esercitando quindi la professione di Insegnante Elementare, che egli considerava " servizio", non solo con competenza e dedizione, ma con eccezionale amore.

Nel giro di pochi anni, riusciva così a riscuotere apprezzamento e stima in colleghi e autorità scolastiche. nonché presso discenti e loro famiglie. 

A partire dalla fine degli anni '60 e per alcuni anni, insegnò anche a Roma, con gli stessi risultati.

La sua anima buona, generosa e sensibile agli affetti ed al valori umani più squisiti, si espresse altresì nella composizione poetica, pubblicando egli, ancora giovane, nel 1965, un primo libretto di poesie presso l'Editore Gastaldi
di Milano.
Si impegnò attivamente anche in politica, iscrivendosi, nell'immediato dopoguerra, al P.C.I.; dal quale, dopo la crisi ungherese del '1956, usciva, per iscriversi al P.S.I.. Esercitò politica attiva a Roma, nell'ambito di quest'ultimo partito,
ricoprendo incarichi. di dirigente stimato ed apprezzato presso la Sezione della Garbatella.
Sul finire degli anni '70, venne colpito da un male inesorabile che, attraverso lunghe inenarrabili sofferenze, lo strappava alla vita a soli 47 anni.
La prematura scomparsa, gli ha impedito di dare ancora il meglio di se stesso alla scuola e alla società ed agli ideali politici in cui credeva tanto fortemente, ed ai quali si sentì sempre legato, assai più che ai partiti: come dimostra l'aperto
dissenso espresso nei confronti del P.S.I., sul finire della sua breve vita mortale, cosi gravemente amareggiata, anche sul piano politico, sia per le condizioni generali del Paese, sia per la generale caduta di tensione morale e la degenerazione del suo partito, espressa anche dalla indifferenza di quest'ultimo al suo non comune grave dramma esistenziale!
Si  occupò attivamente ed intelligentemente del problema dell'insegnamento dell'idioma arbëresh nella Scuola Primario, ricoprendo, dal 1975 al 1977 (l'anno in cui esplose il suo male), la carica di Presidente dell'A.I.A.D.I. (Associazione
degli Insegnanti Albanesi d'Italia).
Fu Vicesindaco nel suo paese dal 1975 al 1979.

 

Pubblichiamo della raccolta tre poesie: le prime due di ispirazione lungrese e la terza perché di estrema attualità. Infatti è stata scritta in occasione della guerra in Vietnam, ma si può tranquillamente riferire a quella  in Afganistan.

 

TRAMONTO LUNGRESE GITA IN MONTAGNA SOLDATO JANKE

Cessa il vociare:
in nido uniti,
assisi sulle porte,
narrano gli avoli miti i bimbi;
or che è pallida l'ombra,
e, sù, una stella
mostra fioca la luce, 
copiano orride e chiare
le streghe e gli orchi
le anime tremebonde.


Ha fine il breve faticoso errare
sui colli lungresi;
un muto richiamo materno
raggiunge il cuore:
le gialle ginestre
ed i negletti petali selvaggi
si colgono con cura
onde ornarne i capelli.


Ed oggi vengo a faticar
sull'erta tua breve salita,

ove un querciolo rammenta ancora
le piaghe delle mie sassate.


Oh, che momenti allora,
quando le piccole voci in coro
rapiva il vento!


Inseguivamo
le fuggitive lucertole verdi;
o le alte strida
muover facean per l'aria
le vellutate ali
di tremante farfalla;
o la cicala al sistrito
facea seguire i palpiti
al muto avvio della ricerca.


Torna il villano al desco:
l'onesta figura perde nel buio la lontananza!
E' l'ora propizia, o bimbi!


I nonni attendono
presso gli antichi altari
all'ora grave narrarvi
una novella fiaba.


L 'ava antica la conocchia raccoglie,
ed ammirando l'opre,

ne parla e attende i maritali elogi.
Antichi, oh cari idilli!


Con quanta voce
oso chiamarvi ancora!


Entro l'alvo profondo
di nera caverna
rimbomba il mio grido:
dall'uscio deforme
silenziosa appare
una farfalla crepuscolare.

Oltre le solatie petraie del mio colle
della canna mi giunge il suono greve,
sequenza magica unita al gergo breve
delle foglie dei faggi.


Un mondo ignoto m'illuminano i raggi
della nascente aurora: luoghi ameni,
ove da labbra rocciose, tra i licheni,
sfocia una fonte;
dove la verde libertà l'aereo ponte
tra la gioia mondana e il vano cielo
ti salta innanzi; ed ogni umano anelo
qui par che anneghi
al profumo delle fragole; rinneghi
al cuore stanco ogni dolente speme,
mentre si ascolta il gorgheggio che preme
nell'adusto fogliame.


In tal divina immensità di trame
tornami dolce il desiato abbandono
delle mura rugose e del consono
rumorio del paese.

 

Ma cala il sole e cede alle protese
vette dei monti gli ultimi suoi raggi:
son cime di turchese, son miraggi
del dì che muore.


Scende dai rami e dal cielo un pallore
grigio; m'assale; mi costringe ancora
a fare i passi verso la dimora
donde iniziai l'avvio.


Monti di gioia, monti di gioia, addio!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come si perdono i giorni
dell'età del giubilo, o Janke,
con l'animo ingordo di paludi
un tascapane di morte
e l'occhio di sangue
puntato su un cuore da bucare.


Ridi coi denti sporchi
di opulenza
a fronte di un bimbo spacciato
che sbava riso sanguigno.


E t'è sembrato
che non erano ventri di madri
o viscere palpitanti di coscienza
quelli che strappasti
col fuoco dell'inconscia barbarie.