6.

(1510-1511)Nullameno le speranze dei Veneziani si andavano realizzando, perocchè a guerra dichiarata contro il re di Francia il Papa trascese, ed essi richiesti colle navi costeggiavano di fronte al Pò, di loro soldati lo fornirono. Quella rottura non solo procurò loro il vantaggio per lo infiacchimento dei francesi, ma ben anche la soddisfazione di scorgere il primo autore dei loro mali rompere la lega di Cambrai, ed involgersi in una guerra, in cui rimase avvilito, e grandi umiliazioni alla Santa Sede inflisse. Sono tante variabile le vicende umane che spesso la fredda ragione non sa darsi conto ella medesima se talune sieno figlie della prudenza o della velleità. Se nelle cose della politica e della guerra non si giudicasse dagli effetti non si potrebbe dire quale dei due più stoltamento agisse, il Papa colle sue stizze contro di questi e di quelli, o i Veneti affidandosi ai di lui eccessi per rialzarsi. Profonda conoscitrice degli uomini e dei tempi suoi, la Repubblica diventò lo Stato più degno di esistere, quello che avrebbe saputo ridonare al popolo italiano le singole autonomie le sue antiche libertà. Dai suoi statuti adatti al governo de' molti, dai traffici di lungo corso agl'Italiani graditi, dalla prudenza e dal senno co' liberi sensi congiunti si procurò la forza morale e fisica necessaria ad ogni governo sapendo farne buon uso all'uopo. Non già che fosse andata immune di pecche, le quali talvolta la stessa libertà attendavano; e tra tutte notammo già quella di non aver protetti a tempo i generosi moti degli Albanesi, mentre ora pochi e bellicosi drappelli di questo popolo sperperato strenuamente per essa combattevano.

Le prime ostilità manifestaronsi con far partire da Roma tutti i fuorosciti collo incarico di sollevare il genovesato; non essendo riuscito a nulla Giulio II mandò il Duca di Urbino suo nipote con molti armati nella Romagna ferrarese, poi attentò ai possedimenti della casa di Este, incitava gli Svizzeri ad attaccare i Francesi, attiravasi al lato suo il re Ferdinando, fece ancorare la flotta pontificia nei paraggi della Liguria, e perfino si trasferì personalmente con tutto il sacro Çollegio in Bologna, onde regolare da un punto più centrale tutte le pratiche della Chiesa, della politica, e della guerra. Egli tre anni prima collo aiuto dei fiorentini, del Duca di Ferrara, del Marchese di Mantova, e più colla forza delle scomuniche aveva scacciato i Bentivoglia da questa città; gli Spagnuoli aiutaronlo puranche, avendogli spedito Consalvo da Cordova vicerè di Napoli cento degli Stradiotti, che trovavansi al servizio del re Ferdinando il cattolico (2).

In sulle prime il re Luigi XII fece ogni possa di rappattumarsi col Papa, fallito ogni tentativo di bonario accomodamento accettò la sfida, promovendo la Chiesa gallicana e il concilio di Pisa, il Cardinale di Sanseverino n'era Legato; approntò uno esercito, e dalla timorata coscienza voleva attaccare i Veneziani anzichè imprendere una lotta cruenta direttamente col capo della Chiesa.

 

(1) Guicciard. op. cit. Lib. IX. Cap. Il. pag. 503.

(2) Siam. Stor. delle Repubb. Ital. Cap. 103. pag. 300.

 Già i primi fatti d'arme avvenivano sul Pò, e nel ferrarese, per lo che i Veneziani ritardavano ad arrivare in Romagna. Sebbene il Generale francese Chaumont per iscrupoli suoi, e per le istruzioni ricevute tentennasse a provarsi con i pontifici, pure essendosi avvicinato al ponte del Reno, tre miglia da Bologna, il Papa correva pericolo di cadere prigioniero. Premurato dai Cardinali e dagli Ambasciadori d'Inghilterra e di Spagna, ebbe per un momento il pensiero di piegarsi a trattative. Ma quando lo Chaumont era sul punto di cogliere l'onore di una capitolazione desiderata dal suo governo, utile per il Papa, allora Chiappino Vitello (13 ottobre 1510) entrò in Bologna con seicento cavalleggeri veneziani. Secondo alcuni tra quelle schiere militava una squadra di cavalli turchi. appositamente assoldati dalla Repubblica, secondo altri vi erano quelli più sopra menzionati al comando di Giovanni l'Epirota, ovvero di Albanesi cristiani; rimane perciò il dubbio, se quello ausilio fosse stato dal Veneziani accettato per dare prova di fiducia a Baiazzette secondo, o per arrecare onta maggiore al Papa. "Più un altra squadra di Stradiotti doveva prima di notte entrarvi per una porta, e Fabrizio Colonna vi era aspettato da un'altra porta con una truppa di arme spagnuoli, e di cavalleggieri" (1).

Arrivato un così opportuno soccorso lo spirito bellicoso del Papa lungi dal persistere nella conciliazione, vedendo che i francesi allontanavansi ordinò di concentrare i suoi armati in Modena, e lui con gradissimo discapito della dignità pontificia si recò in una casuccia di campagna in vicinanza della Mirandola a fine di animare colla presenza e colle parole e popoli e soldati a trucidarsi insieme. Effettuata la congiunzione dei corpi veneti e spagnuoli l'oste francese non poteva più schivare il combattimento. Venuto alle mani tosto il Papa corse il pericolo di cadere in uno agguato teso dal Cavalir Baiardo, se per fortunato incidente non fosse riuscito a salvarsene muovendosi a tempo e rientrando, in Bologna. Essendo rimasta indecisa la vittoria, non meno indecisa la volontà di finire la guerra avvenne la morte dello Chaumont (11 febbraio 1511), a lui successe il generale Alessandro Trivulzio. Costui con minore timidezza di animo, e, con qualche torto a vendicare prima di ogni altro si pose di concerto col Bentivoglia lo sussidiò per fargli ricuperare Bologna, e si rivolse nel ferrarese: a queste mosse il Papa, scappando da Bologna a Ravenna da Ravenna a Roma si ritirava senza gloria e senza premio a tanti moti. 

Nel frattempo i Tedeschi erano entrati nel Friulì ed impadroniti di Udine malmenarono le popolazioni, arresero Gradisca. In quella occasione gli Albanesi spiegarono un'arditezza impareggiabile, il Davity dice che fecero ammirare il loro valore ai vecchi gendarmi valoni che servivano da trent'anni e avevano fatte le guerre dei paesi bassi e dell'Ungheria (2). Non pertanto i Tedeschi si congiunsero con i Francesi comandati dal generale Palisse, a fin di tentare la espugnazione di Treviso, non essendovi riuscito Palisse riedeva verso Milano. "Furongli sempre alle spalle nel ritirarsi gli Stradiotti dei Veneziani sperando di danneggiarlo almeno al transito dei fiumi della Brenta e dell'Adice, non di meno passò per tutto sicuramente, avendo innanzi passasse la Brenta svaligiati dugento cavalli dei Veneziani alloggiati fuori di Padova, e preso Pietro da Lunghera loro condottiero" (3).

 

(1) Guicciard. Stor. d'Ital. Lib. IX Cap. III. pag. 515. Siam. Stor. delle Repubb. Ital. Cap. 107. pag. 378.

(2) Descript. de l'Europe pag. 1143

(3) Guicciard. op. cito Lib. X. Cap. I. pag. 555.

 

Dopo questi eventi della guerra lo esercito veneto rimaneva debole, e slegato; la Repubblica quindi pensò a raccogliersi per un momento e lo fece richiamando il presidio di Bologna ed ordinando alle compagnie delle Romagne d'imbarcarsi nel porto di Cesenatico; anche il Papa sembrava che rivolgesse per un'istante l'animo alla pace, ma se le fece partire fu per togliere lo incentivo al nemico di sempre più avanzarsi.

 

7.

 

(1511-1512) Ritornato in Roma il sommo Pontefice ad un altro trattato pose mano, e con Ferdinando di Aragona, e con i Veneziani, da esso risultano più gli effetti della accorta politica di questi ultimi; imperciocchè non solamente si collegavano per iscacciare i Francesi dall'Italia, ma potevano ricuperare le città lombarde una volta possedute: nel dì 5 ottobre 1511, lo si pubblicò solennemente nella Chiesa di Santa Maria del popolo alla presenza del Papa, e di tutti i Cardinali Veneti e Spagnuoli. Essendosi tra l'altro impegnati di riconquistare Bologna immantinenti il Vicerè di Napoli Don Ramondo di Cordova a capo dello esercito confederato nel 26 gennaio dell'anno seguente occupò tutte le ridenti colline che quella città circondano. Odetto di Foix Signore di Lotrecco, e Ivone d'Allegro ne avevano il comando; grandi premure facevano a Gastone di Foix arrivato a Finale presso Genova per ottenerne rinforzi. A costui eransi arrenduti Cento, la Pieve, e altre castella del bolognese. Da condottiero di molto slancio mosse incontanente, e mentre gli avversari squadravano le posizioni. stando in panico del ritardato aRrrivo dei Veneziani, discutendo da quale porta assaltarla, Gastone di notte tempo tra i freddi asprissimi della stagione si partì da Finale senza mai fermarsi prima dell'alba entrò in Bologna per la porta San Felice, seguito da mille e trecento lance, seimila fanti tedeschi, ottomila francesi ed italiani, e alcuni stradiotti, i quali forse disertati dai Veneziani con i Francesi eransi dati, o erano quelli stessi fatti prigionieri fuori di Padova, allorchè passarono la Brenta. I confederati ignoravano questo colpo tanto ardito, e tanto ben riuscito. "La quale ignoranza continuava medesimamente in sino all'altro dì, se per sorte non fosse stato preso uno Stradiotta greco uscito insieme con altri cavalli a scaramucciare; il quale di mandato quel che si facesse in Bologna rispose che da sè ne riceverebbero piccolo lume, perchè vi era venuto il dì innanzi con l'esercito Franzese"(1). Ciò saputo il Cordova affrettossi a partire per Imola, lasciando i Francesi assicurati nella più importante città che dopo Roma dal Papa dipendeva.

Gastone di Foix non rimanendosi inerte si portò a scacciare i Veneziani da Brescia in dove il Conte Avogaro avevali chiamati. Passò il fiume Pò alla Stellata, il Mincio a Pontemolino. prese alloggio a Nugara nel veronese, il dì seguente a Pontepresara, poi a Treviso a Scala; sorprese Gian Paolo Baglione con gente veneziana, alla torre del Manganino sull'Adice lo disfece; incontròÒ Meleagro da Forlì con altri cavalli pure veneziani, e lo fè prigioniero: così correndo, e sbarazzandosi da quanti nemici incontrava a capo di nove giorni si accampò nel borgo di Brescia di fronte alla porta denominata di Torre lunga; di là mandò ad assaltare il monistero di San Fridiano, e intimò la resa della città.

 

(1) Guicciard. op. cit. Lib, X. Cap. IV. pag. 586.

 

Andrea Gritti vi comandava cinquecento uomini: di arme, ottocento cavalli leggieri, ottomila fanti, e gli Stradiotti col loro Provveditore Federico Contarino. Lungi di cedere alla intimazione imprese a sostenere una battaglia dentro le mura di Brescia, in cui gli assalitori erano penetrati. Si combattè sulle cantonate, nelle vie, più compatti più accaniti nella piazza del Burletto, ove il Gritti con tutti gli sforzi degli abitanti, e il valore dei soldati vi patì una disfatta completa, egli medesimo restò prigioniero. Gli scrittori più moderati sostengono che dei Francesi morissero molti fanti e non pochi uomini d'arme; degli altri portano le perdite a ottomila soldati (1), altri dicono quindicimila (2). Degli scrittori francesi poi chi sostiene esser caduti degli Italiani ventidue mila(3), i più esagerati salgono a quarantamila (4); quasi tutto il corpo dello esercito veneto restò debellato "eccetto dugento Stradiotti, i quali fuggirono per un piccolo portello che è alla porta di San Nazzaro, ma con fortuna poco migliore, perchè riscontrando in quella parte dei Francesi che era rimasta fuori della terra, furono quasi tutti a morte o presi; i quali entrati poi dentro senza fatica per la medesima porta cominciarono essi ancora, godendo le fatiche e i pericoli degli altri, a saccheggiare"(5). Il Provveditore Contarino perì sulla piazza coll'arma alla mano, il capitano Stradiotta Domenico Busecco fu tra i prigionieri.

 

8

 

(1512) Parimenti fiera e sanguinosa riuscì un'altra battuglia combattuta in Ravenna; vogliono che vi morissero diecimila uomini, e forse non hanno torto portandoli da diciotto a ventimila, due terzi degli alleati un terzo dei Francesi (6). Vi mori lo stesso Foix, cui la Francia andava debitrice delle più strepitose vittorie dello esercito suo in Italia. Fra i prigionieri si annoverò il Cardinale dei Medici Legato del Papa "il quale dalle mani degli Stradiotti venuto in potestà di Federico da Bozzolo, fu da lui presentato al Legato del Concilio" (7).

La nuova della disfatta portata in Roma da Ottaviano Fregoso vi sparse la costernazione, il sacro collegio paventando proponeva al Papa il trasferimento della Santa Sede in altra città del Veneto o del Napolitano. Ma Giulio secondo male ascoltava i Cardinali, alternando fra il terrore e lo sdegno per nuove alleanze e per rinfuocolare la guerra occupavasi. E lo spirito belligero del supremo gerarca della Chiesa pur negli altri s'infondeva, non mica per lo amore del giusto o per difendere un debole oltraggiato, si bene perchè temevano la taccia d'ignavii coloro che potendo assoldare uomini di arme non ne approfittassero, per estendere i propri possedimenti. Con questo Intento il re Ferdinando II cattolico suocero di Errico VIII re d'Inghilterra aveva segnato con questi un trattato per cui l'uno poteva conquistare la Navarra, l'altro la Guienna. Entrambi dovevano muoversi mentre la guerra al re di Francia durava, per così riuscire nel proprio scopo, e giovare agli intendimenti del Vaticano.

 

 

(1) Guicciard. op. cit. Lib. X. Cap, IV. pag. 590.

(2) Iacopo Nardi Lib. V. pag. 233.

(8) Memoires du Bayard Cap. L. pag. 254.

(4) Memoires de Flaurenges pag. 88.

(5) Goicciard. op. cit. Lib. X. Cap. IV. pag. 590.

(6) Sism. Stor, delle Repubb: Ital. cap. 109 pag. 422.

(7) Guicciard. Stor. d'Ital. Lib. X Cap. IV pag. 603.

 

Non rimaneva a Luigi XII che l'amicizia dello Imperadore Massimiliano per altro instabile e interessata, e la Repubblica di Firenze indecisa neutrale, in ogni caso propensa a farla da paciera non da belligerante. In breve lo Imperadore Massimiliano ritirò i Tedeschi dall'Italia, la Francia si vide abbandonata sola a combattere nella penisola gl'Italiani, gli Spagnuoli, gli Svizzeri chiamati dal Papa e al di là delle Alpi, gli Svizzeri medesimi minacciavanla sui confini della Borgogna, gli Spagnuoli nei Pirenei, gl'Inglesi sul mare. Cotesta nuova lega, perchè era diretta a frustrare principalmente lo scisma suscitato in Francia, donde il Concilio da doversi riunire in Pisa e poi in Milano: già fu detta santa nel Vaticano, come tale i re l'abbracciarono, così agli altri la diedero ad intendere. Il popolo elvetico parimente vigoroso, più venale degli Albanesi, dimentico di avere avuto un Guglielmo Tell figlio ad un contadino di Uri lo eroico lottatore contro gli oppressori austriaci, quel popolo nato per le armi come gli Albanesi, non aveva sofferto le di costoro sciagure, non era stato buttato nel bisogno di vendere il braccio e il sangue suo a chi meglio il comperasse , e pur lo faceva, dandosi in ogni tempo anche alla più triste causa. Gli Svizzeri vogliamo pur dire sedotti dalla spirituale potenza di Roma tennero come un dovere di accorrere baldanzosi in frotta a prò del Papa o per chiunque il Papa volesse, millantandosi di essere, come diceva l'epigrafe sulla loro bandiera, i domatori dei principi. gli armatori della giustizia, i difensori della Santa Romana Chiesa (1). Ben dodicimila pel trentino scesero in Italia, metà assoldati dal Papa, metà dalla Repubblica Veneta per incorporarsi allo esercito comandato da Gian Paolo Buglione. Gli Spagnuoli e i Pontefici diretti dal Duca di Urbino nipote di Giulio II ricuperarono Rimini, Cesena e Ravenna, Bologna, Brescia, Bergamo, Cremona trepidanti in mano ai Francesi istavano per essere rinforzate, il Generale Palisse scorgendo: il pericolo di quelle, e la impossibilità ,di potersi reggere in campagna le rifornì. Ma quando vide che dalle sue file per ordine dello Imperadore anche i Tedeschi ritiravasene, egli stesso non conoscendo se i nemici battevansi nel ferrarese o nel Ducato di Milano, non sapeva dove rinvenire maggior sicurezza. Delle sue perplessità ne informava il Generale di Normandia residente in Milano, significandogli la scarsezza delle forze sue, e la necessità di ritirarsi in Paria. La lettera venne intercettata dagli Stradiotti, e fu questa la ragione perchè gli alleati subito che si tolsero alcuni paesi del ferrarese in Lombardia si rivolsero (2). Quando giunsero a Lodi potevano chiuderlo in mezzo, il Palisse quindi si affrettò a passare il Ticino, poi il Gravellone, indi si pose in precipitosa fuga.

Inutilmente il Papa pubblicò un monitorio al re di Francia, minacciandolo di tutti i fulmini della sua potestà per fare liberare il Cardinale de Medici tenuto prigioniero in Milano. Rivestì il Porporato della facoltà di prosciogliere dalle censure i guerrieri che si obbligavano a non più stendere l'arma contro la Santa Sede, di permettere la inumazione nelle chiese ai ravveduti, e viceversa; minacciando così la eterna dannazione, nuovi avversari ai padri del Concilio, altri nemici ai Francesi procurava. Usando le comminatorie apostoliche e le nobili sue maniere il Cardinale incusse timori e rispetti; quando Milano per la partenza dei Francesi restò scoperta i Trivulzio i Pallavicino, i Visconti rifuggiandosi nel Piemonte, mentre con essi

 

 

(1) Guicciard. Stor. d'Ital. Lib. X Cap. V. pag. 612.

(2) Guicciard. Stor. d'Ital. Lib. X. Cap.V, pag. 612.

 

il conducevano, giunti sul Pò di fronte a Bassignano i contadini sollevati nella villa detta Pieve del Cairo da un Rinaldo Zollo gentiluomo pavese di concerto con i familiari del porporato lo strapparono dalle mani delle guardie lo posero in libertà (1). Così il mediceo che dar doveva il nome di Leone X a quel secolo, dalle mani degli Stradiotti nei disastri della battaglia di Ravenna potè salvarsi da una pìù lunga detenzione. . Da tanti maneggi e da tanto battagliare pur la Santa Sede guadagnò qualche cosa fino allora non ottenuta; aveva già Bologna con altre terre delle Romagne; per di più s'impadronì di Parma e Piacenza facendo valere per essa i diritti dello antico Esarcato. Colla quasi distruzione di Prato si vendicò della Repubblica Fiorentina di avere ospitato, sebbene per poco tempo, i Padri del sedicente Concilio, ma per altro ne rispettò 1e libere istituzioni. Più che mai Giulio II credeva di andare applicando a seconda delle proprie viste il patriottico suo pensiero di scacciare i barbari dall'Italia, senza sapersi dire chi eran per essi questi barbari. Nel mentre appoggiavasi agli estremi sforzi della Repubblica, e collo aiuto degli Svizzeri meditava di espellerne i Tedeschi e gli Spagnuoli, la morte non diè tempo a lui, nè questi ultimi diedero posa ai Veneziani.

 

(1) P. Giovio Vita di Leone X. Lib. II pag. 132.  Guicciard. Stor. d'Ital. Lib. X. Cap.V, pag. 614. Sism. op. cit. pag.427 e 429.