PREFAZIONE DEL L' EDITORE.

Questo discorso si pubblicò in Napoli nel l807. Il celebre Maldebrun lo tradusse in francese e  se ne giovò molto nella sua opera grande. Fu, ancora riportato per intero nei migliori giornali francesi. Ora essendo divenuta rarissima la prima e seconda edizione ed essendo molte le richieste e specialmente dagli Albanesi, ho creduto farne un'altra. Dacché l'albanese Marco Bozzari ed altri valorosi si ebbero delle statue dall' Europa intera, e nata tra gli Albanesi la nobile gara, di mettere in chiaro l'origine e la grandezza di questo popolo, che ha mostrato di conoscere più degli altri Greci, i vantaggi di un'esistenza nazionale. Questo motivo, unito a quello di onorare la memoria di mio zio, mi han determinato pubblicare la terza edizione. 

 

CENNO

SUGLI ALBANESI

Dl GABRIELE FREGA

 

La nazione Albanese Merita per ogni riguardo che richiami l'attenzione de' Filologi d' Europa, e se lungamente rimase obbliata e di giusto ancora che prenda nella storia quel posto che le è dovuto. Se le lettere possono arricchirsi di utili scoverte, la storia può aggiungere la pagina di un grande popolo. Slanciati su i monti Acrocerauni come avanzi di un gran naufragio son rimasti da più secoli chiusi alle ricerche della scienza. Chi son essi? Donde vengono? -Ecco ciò che la storia non ha potuto mai indagare. In mezzo alle nazioni  moderne essa non ha nulla di simile con le altre. Con un' impronta tutta propria d'indole, di costumi, di usi, e fiera di una lingua originaria e primitiva, che non ebbe modelli ne fu madre ad alcuna, risuona come una debole rimembranza di tempi perduti. Verrà forse un giorno che questa nazione potrà comparire con splendore nella storia del mondo, e deporvi il germe di antiche verità. Chi sa che non sia uno di quegli avanzi dei cataclismi della natura che passarono come torrenti sulla terra, e li spinsero obbliati in un angolo di riva? Simile alle loro canzoni che s'innalzano con voce lunga e s'odono più miglia in lontananza, ti accende nell'animo il racconto delle loro avventure, e li risveglia idee di un nuovo mondo di cui si è perduta la memoria. Udii dire una volta che un viaggiatore avesse esclamato in mezzo ai deserti dell'America: -Quante nazioni svanirono qui come un suono senza Eco! Ebbene! io sento sempre la stessa impressione in mezzo ai canti, costumi e riti dei popoli Albanesi. Essi hanno un non so che di aereo, di fantastico, d'incognito come di un popolo primitivo da lunghi secoli svanito.

Ma se l'origine di questa nazione tutto offre incerto ed oscuro, la gloria de' suoi fatti guerreschi e immensa come quella di Sparta e di Roma. Era in auge ancora la Grecia quando l'Aquila Macedone spinse il suo volo, e ricoverse la terra delle sue ali. Rovesciò l'impero Persiano, e dopo tante vittorie questo popolo sdegnava seguire le mire ambiziose di Alessandro: più tardi con indicibile coraggio sfidò l'orgoglio della potenza Romana mentre i campi dell'Epiro fumavano sotto le rovine di settanta Città. Vinta, ma non doma, solo l'Albania rimaneva libera tra i popoli vassalli de' Romani, e quando le orde de' Turchi sbucarono dai deserti dell'Asia, e la mezzaluna sventolò sulla cupola di S. Sofia in Costantinopoli minacciando la cristianità, la grande anima di Giorgio Scanderbek con un pugno di Albanesi tenne attonito il mondo. Questo uomo straordinario, novello Alessandro, sui campi della Farsaglia coperta dalle ceneri Romane immolava un giorno al suo furore venti mila Musulmani.! Due Sultani, scesero al sepolcro ombre sdegnose dinanzi la sua figura che stava ritta. Napoleone chiuso nella maestà dell'Oceano nella sua solitudine tra i più grandi uomini nominava Scanderbek. Nè qui termina la storia bellicosa di questo popolo. Sul limitare di questo secolo comparve gigante e salvò la Grecia fra gli artigli dell'Aquila della Selleide. Il mondo ebbc la seconda volta lo spettacolo di un secondo Leonida, e la bara dell'albanase Marco Bozzari ebbe il pianto di tutt'i generosi della terra. Era figlio dell'Albania quel grande Pascià che surse formidabile contro ogni altro. Aly-Tebelen, la mente più vasta in espedienti di guerra; l'uom-tipo del dispotismo Orientale. Calpestò Pascià e Visir, e poi li attacco in masse con le forze riunite della Porta, e morendo gridava : -Io accesi le fiaccole ai funerali dell'Impero Ottomano. Ed Albanese e Mehemet- Aly: questo genio, sorto dal nulla minacciò far rivivere la potenza dei Califfi, se le forze coalizzate del Nord dell'Europa non avessero arrestato i suoi voli su i campi della Soria e innanzi le porte minacciate di Costantinopoli. Byron, il principe de' poeti moderni, comparve su que1le sponde, e la sua lira mando un fremito guerriero che parve risvegliasse il vecchio genio degli Albanesi:

"Feroci sono i figli dell'Albania. Chi è il nemico che li ha veduti fuggire? Chi ha sostenuto il loro sguardo di morte? Tamburgi ! Tamburgi ! e il grido di guerra, al cui rombo scendono come torrenti, volano come le Aquile, stridono come le folgori."

Questa serie non interrotta di grandi avvenimenti e di grandi individui e sicura guarentigia di un popolo , che una nazione si raccomanda con la potenza delle imprese, e non co' sofismi di Gorgia. Che se l' Albania, come Sparta , non ebbe finora una coltura di lettere fu prepotenza di esterne vicende e non indole costitutiva di quelle genti. La poesia popolare, di cui conservano ancora i canti, rimonta ad un'origine antica , e l'infinito amore della nazione di custodirla, prova un'indole eminentemente poetica. Che se si voglia andar più oltre, chi può negare che lo Stagirita non ebbe culla e vita il terra Albanese? Che se Omero non ebbe patria che il mondo, chi negherà le prove che militano in favore di essa?

0 figli d' Epiro, m' udite: -sulle vostre labbra risuona una lingua antica quanto il mondo; voi, sembrate gittati il mezzo ai popoli della terra come i canti d' 0mero di cui si è perduta l'origine; ma su i vostri volti stanno ancora le tracce d'una grandezza che fu, e le nazioni vi leggeranno sempre impresso il grande spirito di Achille, di Alessandro , e di Scanderbek !

VITA DI ANGELO MASCI

Egli apparisce essere stato primo pensiero de' bugliaari d'Albania che sul cadere del secolo XV esularono in Italia, quello di fondare una patria che salvasse contra al tempo, e i figli, e la propria memoria che lasciavano a loro. Non che ponessero in libri alcuna legge, ma ad imitazione di Licurgo piantavano gli statuti ne' costumi e nella disciplina per l'eternità. Essi nelle chiese su' cui altari i più distinti impressero i loro stemmi, separarono per ogni famiglia i luoghi, e i sepolcrii e come nella patria antica qui ancora si reputo degradato chi avesse contratte nozze co' forestieri. Essi anche designarono un mese a primavera durante il quale i villaggi degli Esuli ereditari fossero aperti ad ospitare le mutue rusalles, quei grandi cori mascherati che celebravano l' antico paese e gli alti fatti che vi si erano compiuti.

Ma con che fede o con che speranza vollero essi non perdere i loro figli all'antica patria? Chi fia che il sappia? Dall'opera loro però, venne che ancor sia vivo tra noi l'entusiasmo per le opere di valore; e non ancora si rese un culto completo all'oro ed al potere. Le nostre popolazioni, perché ristrette in piccoli paesi , si mantengono vergini e siccome le diverse classi non si sono disgiunte tra loro, le ultime partecipano della cultura delle prime, e l'educazione particolare e privata diviene pubblica, e comune. Le famiglie più agiate mandano gli onorati lor figli nel collegio di S. Adriano (1) , ch'è il santuario degli Albanesi, e il tempio che accoglie nc' suoi altari i generosi avvanzi dell'Epiro: Quivi essi s'imbevono della cultura Greca e Latina si, che divien lor propria coltura; c poi venendo in seno alla patria tengono quella maniera di pensare usando con i popolani, e a questi l'insegnano praticamente. Di queste famiglie una è quella di Masci in S. Sofia.

Noè Masci padre di quattro figli, morì giovine, c lascio alla cura della sua virtuosa consorte i teneri frutti del loro amore. D. Vittoria Bugliari per non succumbere alla perdita del marito, trovo col tempo un compenso d'amore ne' figli, cui consacro tutto il suo cuore. Ma il primogenito che cresceva nelle scuole nazionali (allora aperte in S. Benedetto) dopo poco lascio un nuovo lutto al tetto paterno. Rimasta con soli tre figli ella allora non gli dipartia dai suoi occhi, temendo di perderli. Non erano dissidi non domestiche gare le prime lezioni del piccolo Masci, ma bensì i sospiri pietosi di un cuore deserto, e colmo di malinconia. Egli perciò porto un animo pio ed umano, come quello della madre.

E' sono fortunati i figli, se possono incominciare l'educazione letteraria, senza interrompere la morale, che ricevano dalIe madri. Nessun maestro potrà avere la voce affettuosa di queste, ne bramar tanto bene ai suoi allievi: eppure senz'amore e virtù, non si avrà buona scuola nel mondo. Angelo Masci ebbe intera questa felicita. Nel suo paese viveva allora D. Stefano Pasquale Baffi, uomo dotto nelle lettere latine e greche, e capace d' incominciare una buona educazione letteraria nei giovani. A misura che il suo allievo si avanzava negli anni, e nell'istruzione, Egli trovava nuovi mezzi, come svegliare i belli sensi del cuore, ed animare le brillanti facoltà della sua mente. Qual fu lo stupore di Angelo Masci quando gli si aprirono i sacri volumi della gloria antica? Quale il suo entusiasmo, quando si trovo tra i grandi di Atene e di Roma? Tutte le passioni generose se gli destarono allora, tutti i germi del bene si svilupparono nel suo cuore, c fiorirono indi in modo, che, come egli l'avca sperato coi primi palpiti giovanili, fu poi detto dal sentimento universale l'Aristide dei nostri giorni...

La Filosofa generalizzando i nostri principi, ed aprendo un campo più vasto alla ragione, pianta le basi fondamentali del nostro pensare. Per apprendere questa scienza Angelo Masci andò in Napoli, ove fece mirabili progressi. Ma a che giova la scienza, se non si mette a profitto dell'umanità? L' uomo scientifico chiuso nel suo gabinetto, e come i tesori sepolti nelle viscere della terra; onde nell'educazione si dovrebbe aver per scopo l'utile sociale, e a questo dirigere le nostre cure. Col cuore pieno di sentimenti di giustizia Angelo Masci volle divenir Sacerdote di Temi ed entrar nel suo. augusto tempio. Io credo che il giureconsulto è un secondo legislatore, e tanto più utile quanto che tende a realizzare la volontà sublime di chi ha prescritto la norma del vivere sociale.

I bisogni dei popoli, ed il progressivo sviluppo dello spirito umano produssero una dottrina, che è vindice dei dritti di ciascuno, e garante della pace comune. Ogni popolo ne ha formato la sua legislazione, ma tutti si avvalsero ed adottarono la dottrina del popolo dalle cui rovine sursero le nuove genti di Europa. La legislazione romana divenne come un vasto oracolo, da cui presero le risposte le altre legislazioni; ed avanti ai rostri si decisero quasi le liti di tutti i tempi. Chi entra senza timore di perdersi nel vasto Oceano della legislazione romana? E pure fu poco per l'ingegno paziente di Masci, che inoltre disseppelli gli sparsi arbitri del Medio Evo, e operò a ridurre tutto al primo dritto universale dell'uomo, creatura divina. Forse la voce della giustizia che gli si faceva cosi udire in tutti i giorni, contribuì d'assai alla fermezza imparziale e pacifica da lui spiegata poi in tutti gli affari.

Egli era come il sole, che cittadino di tutto il mondo spande la sua luce anche ai più lontani. Da tutte le parti correvano per esser da lui difesi, e si credevano fortunati se si mettevano sotto l'ombra di un tanto uomo. Venerato dalla borghesia era legato in amicizia coi primi del suo tempo. Direi tutti gli amici di Angelo Masci, se si avesse bisogno di esser sostenuto dall'opinione altrui; ma egli lascio una fama che si mantiene da se. Ritornato dopo il 1799 l'ordine pubblico, egli riprese

l'esercizio della sua professione e indi a poco fu posto ai suoi piedi il premio più bello che mai sia convenuto a un animo benefico e sapiente, e che l'abbia tutto satisfatto. Era il tempo che l'Europa con uno sforzo inudito rovesciava il feudalismo.

La Commissione feudale di Napoli agiva vigorosamente, ed animata dai grandi principi non permise che la giustizia soggiacesse alla forza. Essa pero per riuscir nel suo intento avea bisogno di chi non la tradisse nell'esecuzione dei suoi ordini. Angelo Masci venne scelto a Commissario nella ripartizione dei demani delle provincie di Calabria Media e di Capitanata.

Quant'era difficile togliere ai Feudatari la preda che tenean tra le mani ognuno sel può immaginare. Chi in un modo, chi in un altro cercavano tutti eludere le Decisioni della commissione....

Ei fu il più gran modello di dissinteresse e di onestà in quei tempi. E vivente udì che l'assomigliavano all'antico Socrate. Anche ora le popolazioni di Catanzaro e Basilicata rendono onore alla sua memoria immortale.

Compito questo difficile incarico venne ad istallare il Tribunale Civile in Cosenza, donde passo Procurator Generale della Corte d'Appello in Catanzaro; ma non essendogli propizia l'aria di questa città volle tornar colla divisa di Sostituto Procurator Generale della Corte d'Appello in Napoli. Dopo pochi anni fu scelto Consigliere di stato, donde passo poi a godere in pace, e lontano dagli affari il resto della sua onorata vita.

Ora ch'Egli e passato, e que' tempi si vanno dimenticando, il suo nome resta sempre attaccato a due opere coscenziose e piene di retto vedere, ed un merito durevole.

L' Esame politico legale de' dritti e delle prerogative de' baroni nel regno di Napoli; e il Discorso_sull'origine, costumi, e stato attuale della nazione albanese, rendono testimonianza del suo vasto sapere e delle sue profonde vedute politiche ed economiche.

L' ultima di queste opere è andata specialmente acquistando importanza, a misura che reagendo contro le tendenze dissolutrici del giorno, si e tra noi fatta grande la brama di conservare i riti, le opinioni, e la lingua che avemmo da' padri nostri insieme col sangue; continuando la loro volontà, ch'e a noi tutti sacra legge di onore.

 ANGELO MARCHIANO.

 

(1) Alla prima metà del secolo passato la nobile famiglia Rodotà ottenne dal sommo Pontefice che fosse aperta in S. Benedetto e dotata dalla S. Sede, una scuola per gli Albanesi; quella famiglia le fu anche larga di suoi beni privati. Questa scuola fu indi trasferita nella badia di S. Adriano e arricchita de' feudi della stessa, con sommo merito di Pasquale Baffi. Ciascun comune Albanese di rito Greco ha in essa dritto ad una piazza franca, e poi vi manda altri giovani che vi hanno il vitto c le scuole pagando ciascuno ducali annui 25. Gl'Italiani, e gli Albanesi di rito Latino, se vi sien vacanze, sono ammessi alla pensione di duc. 45. Ma ora che lo stato delle finanze del Collegio è assai prospero e 'l diverrà sempre più con una saggia cura, e che il rito Greco e specialmente protetto dal magnanimo sovrano che ci regge, noi speriamo che il privilegio sia dall'amministrazione esteso in parte o in tutto agli Albanesi di rito Latino; solo restando, in caso di concorrenza, preferiti i comuni che generosamente rinunziarono al dritto di ritirare le prestazioni feudali, cui continuano a pagare al collegio come avean fatto alla Badia. Un voto in questo senso sottomesso alla S. Sede non può che produrre i più favorevoli effetti; poiché, rispettando le differenze dei tipi nazionali che Iddio ha posto nella famiglia umana, noi rendiamo cosi un omaggio all'unità cattolica della Chiesa di Gesù Cristo che trionfa per tutto.

L'editore.