Oreste Camillo Mandalari

L'ALBANIA

NELL'OPERA DI

ANSEMO LORECCHIO

(Roma 1939)

Parte 4^

 

 

   

"Nulla fides  greco.  L’insidia  greca traspare evidentemente da quegli argomenti e della insidia greca, oltre che gli albanesi, dovrebbero pure saperne qualche cosa gli italiani” (15)

E difatti noi italiani sappiamo molto e non possiamo dimenticare l’eccidio de1 Generale Enrico Tellini, toscano che il 23 agosto 1923, sulla strada Giannina Santi Quaranta fu  trucidato dai greci, assieme al Maggiore Medico Luigi Corti e al Tenente Mario Bonaciari, facenti parte della missione interalleata  per la definizione e delimitazione  dei confini d’Albania

Fu, per questo eccidio,. occupata Corfù per ordine fulmineo e perentorio de1 Duce e l'Italia ebbe  sollecita e completa soddisfazione, come meritava.

Ora, in breve, con il loro movimento. A che cosa miravano gli italo albanesi, quando, in Italia, si viveva di quisquilie e nessuno badava ai gravi problemi internazionali, che premevano sulla patria? Spiega assai bene il Lorecchio ogni cosa con queste chiare parole, che, oggi, suonano come uno squillo di tromba, precorritore di uomini ed eventi. Ascoltate!

“Pubblica opinione e Gabinetti ben vero a commuoversi e ad allarmarsi quando poterono constatare l'entrata in giuoco degli interessi  italiani nell’Adriatico, tanto più che alla esplicazione di codesti interessi gli Italo Albanesi   appropriarono il significato di un’azione italiana a favore della nazionalità  albanese, nel senso cioè di propugnare la costituzione almeno amministrativamente autonoma dell'Albania e nella stessa guisa di come l'azione di altri stati era stata di ausilio e sussidio alle altre nazionalità balcaniche, già costituite ad autonomia e indipendenza. In altri termini, come i greci, i bulgari, i serbi, i rumeni, i montenegrini avean trovato in altre potenze, specialmente nella  Russia, chi fosse loro larga di consigli e di aiuti non soltanto nel campo diplomatico, così era non dissimulata intenzione degli italo-albanesi di indurre l'Italia a spiegare eguale azione a favore degli albanesi, ultimi rimasti nella penisola balcanica senza fisionomia propria, politicamente delineata e riconosciuta” (16).

Sotto il velame prudente di queste parole (scritte 36 anni fa) chi sa intendere lo spirito intimo di esse, vede che il Lorecchio auspicava a qualche cosa di concreto, di politicamente utile per parte dell'Italia verso l'Albania e gli albanesi, che proprio nella nostra Patria trovarono protezione e rifugio, dopo la morte di Scanderbeg e anche dopo e dove vivono in 200 mila.

Insomma – almeno secondo me – egli voleva vedere la nostra dilettissima Italia a quel posto, che, adesso occupa nei Balcani, garanzia a tutti di giustizia e pace.

Quando vennero alla luce le lettere dell’On. Di San Giuliano sull’Albania e si cominciò a parlare di spartirla in zone di influenza, egli protestò, polemizzò, confutò, dicendo questo un grave errore, che sarebbe tornato di danno anche all'Italia, come è facile comprendere o intuire.

Secondo lui andavano corretti tutti gli errori del Trattato di Berlino, che, fra l'altro fu causa funesta del conflitto mondiale, per il famigerato articolo 25, che dava l'amministrazione della Bosnia - Erzegovina all'Austria, che voleva allargarsi in Oriente e aspirava pure di arrivare a Salonicco.

E quando l’Austria tentava ancora espandersi in Albania, con scuole affidate a religiosi, e specialmente ai Padri, Gesuiti e ai Padri Francescani, reclutati fra gli slavo-croati della Dalmazia, il Lorecchio, con sapienza politica lungimirante consigliava il nostro governo di servirsi di italo-albanesi “depositari riconosciuti  delle tradizioni patrie a mezzo degli studi linguistici, escludendo qualsiasi sospetto di indebita ingerenza straniera” (17) e per questo voleva chiedere e chiedeva che l’Istituto Italo – Albanese di S. Adriano in S. Demetrio Corone, nella Calabria Cosentina, non venisse meno alle tavole della sua fondazione, come diverse volte scrisse e invocò dal Ministero di Grazia e Giustizia, con relativi memoriali (18), che rimasero sempre lettera morta.

Questo collegio fu regificato per anni or sono ma la sua fisionomia d’istituto albanese internazionale venne svisata ed egli me ne parlava con molto dolore, perché vedeva in questo la fine di una tradizione culturale che giovava agli albanesi e faceva onore all’Italia, perché da ogni parte dell’Albania venivano appunto in Calabria, a S. Demetrio Corone, giovani ansiosi di imparare e d’istruirsi (19).

A questo proposito egli scriveva:

“Papa Clemente XII della Casa dei Corsini, a compimento dell’opera già iniziata da Papa Clemente XI, discendente questi da nobile stirpe albanese lo ha fondato a beneficio delle colonie nelle provincie napoletane “al di qua del faro”, quasi contemporaneamente all’altro Istituto di simil genere, che nella città di Palermo, sotto il nome di Seminario Greco, dalla munificenza di Re Carlo III di Borbone, era stato largito alle colonie di Sicilia, destinati entrambi, specialmente alla educazione ed istruzione di quei giovani di rito greco, volessero adirsi al sacerdozio.

“E poiché il Collegio di Sant’Adriano, ricco per dotazioni proprie, sito in località vicina all’Adriatico e dove gli italo – albanesi si trovano, più che altrove, etnicamente riuniti; rispondendo tutto ciò a condizioni favorevolissime per la bisogna, se n’è domandata la trasformazione in Istituto internazionale, da essere utile, cioè, anche ai giovani albanesi di Albania.

“La trasformazione del Collegio di Sant’Adriano in Istituto Internazionale, se fatta in base a criteri atti ad attirare in esso la gioventù studiosa di Albania, potrebbe servire anche ad uno scopo che sebbene esclusivista italiano non ripugna al pensiero strettamente albanese, allo scopo cioè di diffondere quella cultura della lingua in quella regione, imitando l’esempio che viene dato dalla Santa Sede, la quale educa nel Collegio di Propaganda Fide in Roma ed altri seminari in Italia, i giovani di Albania incamminatisi alla carriera ecclesiastica.

Dicasi quel che si vuole, ma questi giovani nel ritornare in patria ed esercitarvi le mansioni di semplici preti, poi di parroci e poi di vescovi ed arcivescovi, portano con loro indubbiamente un corredo di cultura italiana, e per un mezzo, o per l’altro, contribuiscono non poco a tenere alto il sentimento della italianità” (20).

 Oh basterebbero queste sole parole per fare oggi benedire la memoria e il nome di Anselmo Lorecchio, che in tempi lontani ed oscuri, parlava e scriveva per rendere più,viva ed efficace l'amicizia fra l'Italia e l'Albania, la quale – secondo lui – solamente di questa poteva sperare protezione, forte e  disinteressata.

(E' necessario notare, sia pure in parentesi, e di passaggio, che il Lorecchio, ben due memoriali. presentò al Ministero di Grazia e Giustizia ch'era retto da Camillo Finocchiaro-Aprile, il quale rispose con promesse vaghe, che poi svanirono e nulla si fece di concreto secondo l'uso dei tempi e di quegli uomini) (21).

Ora - a mio modo di vedere - e risulta da tutti i suoi scritti - precipuo intento del Lorecchio fu quello: 1° di dimostrare sempre che il popolo Albanese ha una sua personalità nazionale, con lingua storia e tradizione proprie e che questa andava difesa contro gli assalti della cupidigia di popoli vicini, avidi di conquista; 2° persuadere i dirigenti della politica italiana ch'era anche nostro interesse difendere la piccola nazione vicina contro chi tentava sbranarla e farla a pezzi; 3° dare all'Albania prova tangibile della nostra amicizia ch'è' secolare, anche con un protettorato, che sarebbe un vero scudo di difesa contro i suoi nemici.

Difatti nel numero 5 della Nazione Albanese, che porta la data: 15 Marzo 1897 (cioè 42 anni fa) si legge uno scritto del grande albanologo Girolamo De Rada, dal titolo significativo: “Nulla fides in greco” – nessuna fiducia nei greci - che con serbi e montenegrini, attentano all'integrità albanese e perciò occorre sorvegliare, e un altro scritto del Lorecchio dal titolo: Protettorato Italiano in Albania, di cui è bene leggere qualche brano, che, oggi, veramente sa, si direbbe, di profetico.

E' una voce benedetta di oltre tomba!

“Mi scrivono da Bucarest in data 19 febbraio (3 marzo) e pubblico traducendo letteralmente: “I giornali di Bucarest dicono che l 'Albania domanderà la separazione dall'Impero Ottomano e vuole costituire uno Stato sotto il protettorato dell'Italia. 

“Io non so se questa informazione sia vera; in tutti i casi essa risponde allo stato di animo degli Albanesi: questa sarà una soluzione ambita ed accettata da quel popolo.

“ E' necessario che si segua una politica più attiva e che si trovi una linea di  condotta più risoluta. Dello stesso avviso sono a Costantinopoli. Noi dobbiamo felicitare il popolo italiano – popolo veramente civile e generoso – per la sua condotta verso la Grecia. Il sentimento del popolo italiano è tanto più da estimare in quanto che i greci si sono mostrati ostili ed ingiusti agli italiani. Dopo il malaugurato risultato della spedizione contro l'Abissinia, i giornali ateniesi hanno emesso gridi di gioia stupida. Se a me ed a tutti (nota il Lorecchio) non fossero noti i nobili sentimenti disinteressati di simpatia che la stampa di Bucarest, al pari di tutto il popolo rumeno, ha verso l'Italia in certe occasioni dimostrata ed affermata, si sarebbe tentati a credere che questa del protettorato italiano sia una delle fiabe inventate e propagate ad arte  per creare imbarazzi diplomatici all’Italia, e per suscitare e tenere viva la diffidenza del governo ottomano contro di noi italo-albanesi. Ma la patriottica stampa di Bucarest rispecchia coscienziosamente i sentimenti del nobile popolo rumeno, al quale sono lieto di mandare in tale riscontro, il più auguroso fraterno saluto da parte degli albanesi in Italia, che non può essere che in tutta buona fede. Questa dichiarazione la faccio con vera lealtà di schipetaro.

“I giornàli di Bucarest hanno propagato la voce di un protettorato italiano in Albania, come che questo sia la più logica e naturale conseguenza della grandissima fiducia che attrae all'italiano il popolo albanese: fiducia e simpatia delle quali la nazione rumena non è gelosa come notoriamente gelosi ne sono quei popoli cui preme per un verso, o per l’altro, di osteggiare l’avvenire politico e commerciale di Italia e dell'altra parte pretendono diritti sulle terre di Schiperia, agognando e affrettando l'ora di spartirsela a brani.

“Codesta fiducia, codesta simpatia che trovano il più plausibile riscontro consanguineità fra i popoli pelasgi – albanese e pelago latino italiano, sono state manifestate in modo pratico a cominciare dai tempi dell’antica Roma a venire a quelli della Repubblica Veneta e a quelli delle Monarchie Sveva, Angioina, Normanna e Aragonese del Reame di Napoli – Nulla di strano quindi che si ravvivano e si facciano vie  più potenti ora  in vista della reciprocità di interessi che la nuova Italia  e l'affermantesi nazionalità albanese, hanno nel mare Adriatico. E per si fatti reciproci interessi, da garantire come da pari a pari, italiani e albanesi non tollerano non permettono che quel mare sia dominio Austriaco, o Greco, o Slavo, in generale”.