VINCENZO DORSA

(Frascineto 26.2.1823- Cosenza 4.12.1855)

 

LE NOZZE ALBANESI - 1844

 

 

I. Tra i costumi che più brillano di mirabile originalità presso il popolo Albanese, quelli vanno soprattutto distinti che solennizzano i giorni nuziali. Noi poggiandoci a rifletterli coll'occhio che indaga i1 senso intimo a 1a originale espressione di quant'ora s'informa di una vita sol di memorie, ci sentiamo tolti a noi stessi a menati negli anni che stabilirono i primi fondamenti delle umane società. A quel tempo fatti coevi noi avrem sempre in che ammirare 1a grandezza semplice della natura a superiorità di essa all'arte affettata dei secoli corrotti: noi vi scorgeremo sempre i1 cuore umano nella sua immensa effusione far vergognare il freddo egoismo della lodata civiltà. - Quanto di solenne accompagna le nozze Albanesi è già un avanzo dell'antichità d'Albania, un avanzo che i figli dispersi di quella terra serbarono come oggetto che gli attacava ai lari abbandonati a che serviva loro come i1 sacro palladio nella terra straniera.- Questo avanzo di costumi adunque ritrae gli eroici tempi del popolo cui sorrisero senza tempo le bianche vette de' Cerauni. E per fermo: se il canto e la danza sono espressioni di forti sentimenti che un linguaggio vocale indarno accomanda nella infanzia de' popoli, i1 canto e la danza sono le particolarità che più risaltano ne' gironi nuziali degli Albanesi, perché giorni del più folle entusiasmo.

 

II. All'avicinarsi della solennità, se avvenghi che in giorno di festa 1a quasi periodica ridda del paese passi innanzi la soglia degli sposi, dà loro l'augurio di un bello a felice avvenire, cominciando i1 canto in tali espressioni:

 

 

Or che per qua men passo

Porto la gra ventura,

Che vuolsi la ventura

Ai nostri sposi.

Lo sposo ha forti spalle

Ramose, a ferrea mano,

La sposa ha un melograno

Nel suo bel volto.

Lo sposo è un nocchio duro

Di sempre-verde ulivo,

La sposa è i1 fior più vivo

De vago aprile.

 

 

 

E prosegue scendendo ne' particolari de' fidanzati -Questi canti sono come il prenunzio del gran giorno, sono le prime mosse dell'entusiasmo onde brilla il periodo del tempo sacrato alle feste d'Imene.

III. Ma ecco che la fidanzata precinta all'impresa.

Spunta il sole della vigilia, ed essa surta di letto, dove stende il corredo nuziale perché le venisse osservato, attende le visite delle parenti e compagne. Di queste le più lontane di rapporti la presentano di nastri e merletti, le più vicine di una gran focaccia atta solo a quell'uso, e sulla quale veggonsi rilevati oltrenumero guerrieri ed uccelli -formati della pasta medesima, e già esprimenti gli uni lo stato eroico della nazione, gli altri le colombe le pernici gli sparvieri che in densi nugoli svolazzano continuamente sulle montagne d'Albania. - Lo stesso vien pratico verso il fidanzato dai parenti ed amici di questo.

 

IV. Sorge il dì festivo. La sposa avvolta in candido fazzoletto, con le gote bagnate da un pianto figlio del cuore che ondeggia fra la tenerezza del passo solenne e il rammarico dell'abbandono del suo focolare, attorneggiata dalle giovinette compagne, dalle zie, dalla madre, attende il gran momento e la sua casa non esprime altro che una indefinibil mestizia che ti piomba al cuore, perché vedesi già vedovare di un caro oggetto. Per converso la casa dello sposo esulta d'inusitata allegrezza. Uno sparo di colpi replicati fin dal mattino diffonde pe' suoi d'intorni l'esultanza del giorno. La famiglia tutta affacendata, chi spiumaccia i letti, chi spazza le stanze, chi le addobba di propri arnesi, chi intende a preparare il banchetto. -Ma esso suonata è l'ora. Raccolti i giovani compagni attendono a abbigliare delle nuove vesti lo sposo, e nell'atto che gli acconcian la chioma, un coro intona così il canto alto e solenne un'ardita apostrofe al pettine:

 

 

O pettine gentil, del fidanzato

Acconcia ben la chioma, o tu verrai

Da me franto, e sul nudo suol gittato

Dal piede insultator pesto sarai (1).

 

 

Ornato lo sposo e in mezzo ai compagni che gli fan corteo esce di casa, previa la benedizione de' genitori e l'addio de' suoi cari. Ma una lagrima gli spunta sull'occhio, che la gioia gli vince il cuore, e il coro intuona:

 

 

Ve' ...goccia d'acqua o lagrima

Gli bagna la pupilla!

Non goccia d'acqua o lagrima

Dagli occhi suoi distilla.

De' padri è il dolce affetto

Che sgorga dal suo petto (2)

 

 

Così cantando il corteo s'incammina verso la sposa.

 

V. In mezzo alle sue care, tra le braccia della piangente madre, piangente ancor essa la sposa già in segreta stanza è impegnata a' suoi abbigliamenti. La porta dell’abitazione è chiusa, perché non la sorprendi di botto chi viene a rapirla - è tempo

che si prepari all'impresa. Ma un colpo di fucile che muove lì presso le annunzia ormai che se ne vien lo sposo, ed ecco il coro di fuori intimarle di uscire:

 

 

Esci fuor spilla d'argento,

Qui ti attende lo sparviero

Lo sparvier della montagna .

Tutto accolto il suo pensiero

Ei rompendo il fiero vento,

Di gran neve l'ali piene

Alla soglia tua se viene.

 

Fa di posare e dove

Posare ancor non sa,

Ma or che ver qui si move

U' dee cader sen va.

 

E cade tra un nugolo

Di vaghe pernici,

E sceglie la bella

Dall'alte pendici,

Dal capo di spilla,

Dal labbro che brilla

D'un minio gentil,

Dal busto che s'agita

Qual fusto in april.

 

 

Schiusa la porta, ed uscita la sposa prende l'addio dai genitori e compagne, e il coro delle donne intuona:

 

 

Cosa t'ho fatto, o madre mia, che sei

Cruda così che dal tuo sen mi svelli,

Dal dolce focolar degli avi miei!

 

 

E s'avviano pel Tempio - Avanti piè-veloci giovinetti agitando fra le mani flammei veli van carolando e batton le strade come i prenunzi della pompa. Segue di presso il corteo dello sposo, e questi si riconosce al portamento imponente, al manto e cappello di magnifiche forme che in quel giorno solenne lo innalzano a re (vasigliee), poiché in quel giorno appunto ei vien creato re della famiglia. Indietro finalmente e a passi lenti muove la sposa velata nel volto, perché il pudore non ne risenta, avendo diadema sul capo (la chesa) e lungo strascico sorretto dai fratelli e sorelle - segni che manifestano la sua qualità di regina. Risuonan le strade de' canti a doppio coro, risuonan de' colpi da' fucili, che or partendo dalla via or dalle logge a finestre ingombrate gente spettatrice, si avvicendano come gli echi di una battaglia, mentre dagli sporti lunghesso i1 cammino piovono sul capo del coppia gentile grano a legumi onde viene ad essa augurata eterna fertilità ed abbondanza - Eccone i canti - Alla sposa i1 coro donne:

 

Dhe possa splendere nostra sorella,

Deh possa splendere lucente a bela

Come 1'aurora nell'apparir,

Come la luna nello sparir.

 

O tu del verno più chiara luna;

Deh se ti piace, tu pur t'imbruna -

Per noi risplende d'alto splendor

Questa vaghetta ninfa d'amor.

 

O vaga pianta di terra aprica,

Se vuoi, dell'ombra ci sii nemica -

L'ombra che spande questa gentil

No che nel mondo non ha simil.

 

-Ti parti o monte, a fatti strada, ond'oggi

Per essa inceda - questa peraice.

Fa di posare e dove

Posare ancor non sa,

Ma ver la soglia move

Della sua suocera,

E là sen va. -

 

O tu uccelletta col crine adorno,

Or su ten vieni qui a noi d'intorno,

Con vaga seta raccolta al piè

Che alla tua suocera la porti ov'è.

 

- e in ogni pausa del canto due tre quattro spari di fucile - Tratte poche inversioni il canto dello sposo è lo stesso.

VI. Eseguita la sacra cerimonia all'uso della chiesa Orientale, tornan dal tempio i due cortei inviati alla casa dello sposo nell'ordine medesimo onde prima s'eran portati nella funzione del Tempio. Si ripetono i medesimi canti, gli spari continui de' fucili, il getto de' grani a legumi dalle finestre sulle strade battute da' cortei. - Avvicinati intorno alla casa destinata ad accoglierli, la sposa impedita da' suoi ricusa di più proseguire i1 cammino. Invano lo sposo si volge indietro gridando ad alta voce che ormai lasciassero la compagna già conquistata, che irremovibile il corteo di essa lo provoca all’ultimo sforzo. In questo lo sposo stanco di più durar pazienza, depone i1 regio suo paludamento in mano dei compagni, e veloce con impeto come alla preda si slancia sulla sposa che, trattata dalla turba che l'accerchiava, muovela seco, e trionfante in mezzo a colpi replicati la conduce entro i1 talamo maritale. La comune madre avanzata alla soglia che sparge di fiori attende lì gli amati figli, li annoda con nobil fettuccia, a così trattili al seno li accoglie a li abbraccia. - Lettore, fissati a questo quadro, a vedrai riflettuta l'intera vita de' popoli nomadi versanti si ne' primi passi dell'umano congiungimento.

La sposa adagiatasi intanto sur acconcio sedile e ancor pudibonda sotto il velo viene salutata dalle nuove appartenenti - quando dopo alcunché di tempo le donne del seguito intrecciate a croce le mani e formato nobile intreccio, accoltala nel capo di esso, muovendosi in posato movimento, le cantano così, delle morali lezioni -(il canchiegl):

 

 

Sposa gentil, se la virtù ti è cara,

Lascia l'antico tuo dolce costume:

Qui già tu apprender dei novelle cose.

Spiumaccia il letto al tuo Signor,or, le piume

Sian triplo palmo di olezzanti rose.

 

 

Dopo di che ritornan la sposa al suo sedile, e l'intreccio sciolto in ridda cangiando i motivi del canto risuona de' versi seguenti:

 

 

Là su quel monte nero

Fumo elevarsi appare,

Esso non è già un nero

Fumo che in alto va,

E' il giovinetto altero

Nel fier della sua età.

 

 

Ripiglian la sposa, e ripiglian l'intreccio continuando così le ammonizioni:

 

 

I Sposa gentil, s la virtù ti è cara,

Spiumaccia il letto della tua nuova madre

Con nove fasci di pungente spino.

In casa fa che sian tue voglie ladre,

Ingoia a forni il pane, a botti il vino. (3)

 

 

Le quali lasciate in questo modo, ritornano al suo sedile di bel nuovo la sposa, e di bel nuovo sciolgon l'intreccio in ridda che esclama:

 

 

Là su quel monte un piano

S'apre disteso immenso,

E tre colombe al piano

vi scendono a danzar,

Belle così che è vano

Miglior beltà trovar.

 

 

Ripiglian per la terza volta la sposa e l'intreccio, le terminano le ammonizioni, e poscia sciolte in ridda anche per la terza volta e con la sposa medesima fanno de' giri pel paese cantando in mezzo al più alto entusiasmo le vittorie di Scanderbek.

 

VII. Viene l'ora del banchetto -Gli sposi si adagiano l'uno rincontro l'altro, mentre i commensali fan loro corona. L'allegrezza che ingombra quella sala è fuor d'ogni dire. Tra lo strepito delle tazze e de' coltelli misto agli ancora spessi colpi di fucili, senti or da una banda or dall'altra elevar sì de' canti che solennizzano il banchetto: e questi canti sono anch'essi un avanzo delle antiche rapsodie del nostro popolo, poiché raccordano i pranzi e i cibi degli antichi loro Eroi e dì Scanderbek segnatamente -Come in tutti i fatti della vita degli Albanesi anche dispersi in lontane regioni e dopo quattro secoli che passarono sotto la mano distruttrice del tempo, sta impresa indelebile la cara memoria dì una grandiosa età caduta!

Sul finir del banchetto nel luogo degli sposi vien presentata una delle focacce nuziali, e gli sposi devono frangerla prendendo porzioni uguali, simboleggiando con questo grand'atto la futura lor vita comune e pranzo comune. Si passa poscia al ballo, e termina così la solennità di quel giorno. I banchetti poi si rinnovano il giorno appresso e l'altro, e dopo i quali nell'ora vespertina si gira la sposa nella ridda pel paese -Vengono intanto le domeniche e feste vicine, e questa vien condotta di casa in casa de' suoi parenti onde fosse presentata de' soliti doni nuziali, tra' quali non dee mancar mai del grano o legumi, un boccale, e una gallina.

Uomini della natura e uomini dell'arte, i camei e i fregi d'oro valgono forse più che il pane, l'acqua, e la semplicità di pochi cibi naturali?

 

Note

1) Cosi tradusse quel canto il Poeta Regaldi nell'atto che assisteva alle nozze Albanesi.

2) Lo stesso Regaldi.

3) Tutto quest'ultimo canto è già ironico. Tra suocera e nuora è rara la pace e la benevolenza. s'insinua quindi alla sposa che non fosse nel numero di cotali. Col resto le s'insinua che voglia esser frugale, moderata ed economica.