Domenico De Marchis

 

BREVE CENNO MONOGRAFICO STORICO DEL COMUNE  DI ACQUAFORMOSA

(1857)

Parte 1^

AVVERTIMENTO

    Stimo pregio del mio lavoro avvertire il cortese lettore che nell'anno 1705 grave una lite insorgeva tra il principe di Bisignano signore di Altomontel, e il monastero di Acquaformosa, sul dritto della giurisdizione criminale, e l'abate di quel tempo, caldo propugnatore delle baronali prerogative, allo scopo di ben sostenere le ragioni del convento sul Casale, onde emanciparlo dal potere del nuovo feudatario, si provvedeva delle copie legali di tutt'i privilegi, ed altri documenti, che riguardavano quel ricco cenobio, dall'archivio della regia camera della Sommaria; in guisa che, ora nel principio ed ara al termine di ciascuno di essi vi si legge l'accertato del dottor Gregorio Masi regio archivario di S. M Cattolica, steso nel modo che siegue = «Si fa fede per me sottoscritto Magnif Dott. Gregorio de Masi reg. archivario per sua Maiestà Cattolica (che Dio Guardi) nel grande archivio della regia camera della Sommaria; come visto, e riconosciuto il registro intitolato Officiorum Secundo, che si conserva nella prima camera di detto grande archivio sotto la lettera O, scanzia quinta, num. 72, si nota in esso dal fol. 192 e seguenti ec. ec. ec.».

    Tali privilegi, e documenti per cura del convento furono stampati in breve raccolta, ed un esemplare di quella edizione ebbi l'opportunità di rinvenire nella copiosa biblioteca di mio nipote D. Nicola Demarchis. L 'impegno di evocare dalla fitta tenebra dell'antichità delle autentiche nozioni rapporto al Comune di Acquaformosa, mi servì di sprone a rediggere un breve Cenno Monografico-Storico per renderlo di pubblica ragione. Non impulso di vana gloria, ne eccesso di amor proprio mi determinarono al lavoro; ma bensì per rendere un omaggio ad un paese, che contermina con la mia patria, che espri- me i suoi concetti nello stesso idioma, che professa il medesimo rito, ed in cui vincoli di stretta parentela mi legano ad una delle principali famiglie, furono i veri motivi, che diedero spinta alle mie lucubrazioni, e mi reputerò largamente compensato, se la cortesia dei lettori mi sarà prodiga di un sincero compatimento.

1 Bragalla, oggi Altomonte, come si legge nella Platea di Sebastiano della Valle: e Ferrante della Marra riferisce, che prima era stata denominata Balbia, indi Brahalla. di poi dal Re Roberto Altofiume, e finalmente nel 1343 dalla Regina Giovanna Altomonte.

I

    Al sud-ovest al una distesa prominenza siede Acquaformosa, Comune Albanese di 1690 abitanti. Essa fa parte del Circondario di Lungro, nel Distretto di Castrovillari. Spazioso e pittoresco è il suo orizzonte, poiché all'est si specchia nel Mare Jonio, dopo che l' occhio ha percorso le vaste ed ubertose pianure dell'Agro di Cassano, e dal sud al nord scorgesi recinta in lunga distanza da elevate catene di monti, svariate diramazioni degli Appennini, interrotti a ripresa da vallate, che la mano industriosa dell'uomo sottopose a proficua coltura. Ridondante di melanconiche rimembranze addiviene pel Filosofo spettatore questa prospettiva, perché gli sveglia nell'intelletto l'idea di un popolo gigante per potenza, ed effeminato lusso, rimasto spento dal brando invincibile di coloro, ch'eran stati educati nei severi principi del saggio da Samo; e come la voragine dei secoli ha inabissate nel nulla le Sibaritiche grandezze! Sibari che stendeva la sua ampiezza lungo il Crati oltre 50 stadi, forte di trecentomila combattenti, dominatrice di quattro nazioni, e di venticinque minori Città, emporio delle più squisite delicatezze della vita, soggiacque alla dura legge del tempo, e la storia sola, che ad esso fa guerra ci serba le sue pagine, per guidare lo spirito alla contemplazione delle passate vicende. Al lato nordiale di quell'immenso bacino s'innalza altr'ordine di montagne formanti una semi ellissi, in mezzo alle quali giganteggia il Pollino, al culmine di cui maestose poggiano le nubi. La loro estensione separa la Lucania dalle Calabrie, e par che fossero collocate per barriera, per arrestare i passi de' vari popoli bellicosi, tanto infesti una volta alle nostre contrarle.

    Salubre è il clima quantunque fredda la temperatura, ed alquanto incostante per cagione dei venti, che impetuosi spirano dal lato di ponente. Fresche, limpide, ed abbondanti sono le acque, di cui fanno uso quei cittadini, ed esse probabilmente han servito di norma ai primi indigeni per assegnare il nome alla loro patria, poiché al dire del sommo Platone, le città traggono ordinariamente l'origine del loro nome o dai fondatori, o da qualche luogo, oda un fiume, o dalle divinità del paese.

    In Acquaformosa, tranne poche famiglie che vivono in agiata condizione, il resto degli abitanti geme in squallida indigenza, e ciò oppone potente ostacolo all'incremento della popolazione. Per compenso dei diritti civici, che il Comune esercitava su i feudi del principe di Bisignano al declinare del colosso feudale, le vennero assegnate nella divisione dei Demani circa moggia 800, le quali per esser site in località troppo lontane dall' abitato, si cedono in fitto, e la rendita che se ne ritrae, costituisce un cespite d'introito per la patrimoniale amministrazione. Il dippiù del territorio parte di privata proprietà, e parte di feudale provenienza, offre una estensione di più migliaia di passi geometrici di circonferenza, principiando il suo diametro dal piano di Campolongo, fino a quello dell'Aria, coverto di bosco, alberato da faggi, querce, castagni e terreni aratori, che quell'indigeni addicono alla semina di grano, granone, segala, lupini e patate, da cui ne ritraggono un prodotto di tomola 3850 di cereali diversi, risorsa non sufficiente a sopperire al bisogno annuale, e veggonsi astretti a provvedersi della deficienza dai limitrofi Comuni.

    Troppo trascuratata è la pastorizia, nè si comprende perché quei facoltosi proprietari persistono a trasandare questa branca d 'industria, tanto raccomandata da ogni ben intesa economia, nell'atto che oltre di realizzare un cespite di rendita, impiegherebbero un esteso personale a provvedersi di sussistenza sollevandolo dall'inopia in cui vive. Ne si opponga, che la mancanza di pascoli vernotici offre grave ostacolo ad una speculazione tanto proficua ad immegliare l' agiatezza dei cittadini, poiché l' esperienza addimostra che Comuni più montuosi, e totalmente privi di estensioni meridionali, quantunque obbligati a trasferire i loro armenti in remote località, pure tanto vantaggio ne ritraggono dalla pastorizia, che alla giornata incoraggiano l' industria.

L 'utile quindi per esse non forma più un dubbio, ma una certezza, ed è segno che han ben colpita la soluzione di questo economico problema. Perché dunque non imitarne l'esempio?

    Dal nutricato dei bachi da seta ne proventano quegli abitanti un annuale prodotto del nobil genere di circa libbre 1500, e ciò dovrebbe impulsarli ad estendere la piantagione dei gelsi. Se il territorio nelle contrade nordiali non si presta alla vegetazione di tal pianta, questa però sorge rigogliosa nelle parti basse e sottoposte al benefico influsso della irrigazione. Quindi non solo la coltivazione del gelso, ma un'immegliamento del sistema di agricoltura dovrebbe essere promosso con ogni alacrità, ed io ritengo che sola sorgente assoluta e indipendente delle ricchezze sia l'agricoltura. Questa massima dell'illustre Filangieri vorrebbero alcuni, che non fosse accolta tanto esclusivamente; ma meditando ponderatamente sullo stato economico dei vari popoli del globo, ci vediamo astretti a prestare ogni omaggio al filosofo Napolitano. Ogni spazio di terra è la materia prima dell'agricoltura, la quale produce ai popoli la ricchezza, la più vera e la più indipendente di ogn'altra col variar delle opinioni, dice un anonimo economista.

    Le malattie che dominano in Acquaformosa sono le reumatiche, e le gastriche-reumatiche, le quali ripetono le loro cagioni dal rigore del clima troppo freddo, e dalla intemperanza nel vitto, precipuamente all'esordire del nuovo ricolto. Anche le intermittenti periodiche sviluppano spesse fiate con qualche intensità negli abitanti, causate dalla irrigazione dei terreni sottoposti al paese allorché vengon coverti di granone: le due prime però assumono un carattere endemico, mentre l'ultima appare a riprese, e solo quando l' espresso motivo diviene più o meno frequente.

    Esercita il Comune gli atti di nostra Santa Religione nel rito greco ortodosso, e le sacre funzioni si solennizzano in una sola Parrocchia sotto il titolo di San Giovanni Battista, servita da un Clero ricettizio innumerato, il di cui Arciprete, dietro canonico concorso, si eligge dal Vescovo di Cassano. Le decime sacramentali-personali offrono il tenue sostentamento ai Sacerdoti, e questo peso aggrava non poco la limitata possidenza del basso ceto; il quale, vivendo sotto il regime della transazione per la diffalta di rendita comunale, con un contributo fondiario non corrispondente alla estensione e qualità dei terreni, perché misurata senza le norme di una esatta planimetria, e classificata nel catasto senza riguardo alla fertilità dell'Agro; con una topografica situazione totalmente eccentrica dalla consolare; priva di strade traverse con i vicini Comuni, onde facilitarle l'uso di un utile commercio; costituiscono per Acquaformosa tante cause immediate da ingenerare la miseria dei cittadini, e con essa la stazionarietà della popolazione; cosicché se non si apporterà un provvedimento alla rimozione di tali ostacoli, è da temersi con certezza una notabile decrescenza in quei abitanti.

    A determinare però con storica precisione l'origine degli Albanesi in Acquaformosa, emmi d'uopo rimontare all'epoca della erezione del Monastero dei Cisterciensi, ora ridotto un mucchio di rottami per quel vandalico impulso di sperdere al nulla i monumenti dell'antichità, senza porre a calcolo che una colonna, una parete, una pietra intagliata serve spesse fiate di face alla filologia, per poter fissare tempi, arti, religione e costumi dei popoli antichi! Io m'inoltro in questo lavoro senza tema di errare, poiché i documenti irrefragabili, che ho il vantaggio di consultare, mi prestano sicuri mezzi a ben corrispondere allo scopo del mio esame. Non entra poi nel piano delle mie idee d' intrattenere il lettore sull' origine di questo popolo in Europa, perché la Storia è alquanto vacillante, allorché imprende a discorrere di secoli remoti ed oscuri, essendo saputo che i primordi delle società vanno per lo più involte da tenebre favolose.

    Ciò non pertanto un egregio mio amico, uomo degno dei più sentiti elogi per le svariate conoscenze che lo fregiano, renderà tra non guari di pubblica ragione, una dotta ed erudita opera storica su gli Albanesi dettata in bella lingua, e con tutta la possibile imparzialità. Da essa potremo conoscere la soluzione delle principali questioni solite ad agitarsi sopra i popoli mancanti tuttavia di una Storia particolare. Io nutrisco la più soda fiducia di leggere nel suo lavoro alcun che di vero sull'origine, e sulle vicende che hanno accompagnato gli Albanesi fino ai nostri tempi, conoscendo fin da ora il piano dell'opera, e le mire dell' autore esser quelle di considerarli in svariate epoche, cioè dai primi tempi storici fino il presente, del pari che di rintracciarne gli avvenimenti su tutte le Contrade, in cui sono apparsi; e l'animo s'immerge nella speranza di leggere una Storia per quanto si può completa, e per dir così la prima a veder la luce, onde appianare un vuoto alla conoscenza dei popoli. Ed invero, molta gloria gli Albanesi hanno usurpato alle altre nazioni, come non poche gesta onorifiche di essi sono state taciute, quindi questo mio egregio amico è il primo che saprà tirare una linea di demarcazione nella confusione dei fatti, e accordando a Cesare quello che è di Cesare, potrà al certo sperare un plauso dal mondo letterario; ed io che ho dedicato a questa anima gentile tutte le affezioni del mio cuore, perché da molti anni mi fu largo di un'amicizia a tutta prova, non fo che impulsarlo a render pago con sollecitudine l'aspettativa dei miei compatrioti.

     Intanto, sia che gli Albanesi fossero indigeni della Grecia, come han sostenuto alcuni egregi miei connazionali, rigettando spaventati quella origine Scitica, che ci si vuole attribuire, sia che fossero esotici come imprese a dimostrare questo mio amico, ebbero essi mai una propria letteratura? Io pendo per la negativa, ed esporrò brevemente il motivo che ali- menta in me una tale credenza.

    Ogni linguaggio, che pari a copiosa sorgiva si spande nei suoi vari dialetti, fa d'uopo chiamarlo originale; esso è da paragonarsi ad una madre, da cui la moltiplice prole ripete l' esistenza. Il classico idioma, che servì ad esprimere i suoi versi divini al sommo pittor delle memorie antiche, diede origine ai quattro notissimi dialetti, cioè all'Attico, al Dorico, allo Jonico e all'Eolico, sia che un tal vocabolo voglia adottarsi per esprimere la lingua particolare di una Città o Provincia provvegnente dalla corruzione dell'idioma generale di una nazione, sia che voglia significare la specie di particolare pronunzia dello stesso. Tutti però sono da riputarsi diramazioni della lingua madre-primitiva.

    Vero ciò, anche tra le originali dev'esser classificato l'idioma Albanese, unico avvanzo delle antichissime lingue dei Traci, diffuse un tempo in tante regioni d'Europa orientale, in Tracia, nella Dacia, in Tessaglia, nella Macedonia, nell'Epiro, in parte nell'antico Illirio, e per fino in Italia. Essa dividesi in sei principali dialetti più o meno corrotti di Turco, di Greco, di Slavo, e sono dei Gueghi, e dei Mirditi, dei Toxidi, dei Sicemi, dei Liapi, degli Epiroti, e degli Albanesi d'Italial.

    Ora se la caratteristica di lingua originale ben si addice all'Albanese, da che dipende la mancanza di una letteratura particolare? Forse dalla posizione sociale d'esser vissuti i medesimi continuamente intenti alla guerra? Ma anche in questo stato di non interrotto tramestio, non sarebbero mancati dei soggetti, i quali avrebbero anteposto al maneggio delle armi, la coltivazione dello spirito. La vera cagione è da ripetersi piuttosto dall'essersi trovata quella nazione priva di un proprio alfabeto fisso, invariabile, di un Dizionario che racchiudesse il tesoro della terminologia, e di una Grammatica che avesse dettate le regole di apprendere per i suoi veri principi la loro lingua. Ed afforza il mio divisamento il riflettere come nelle varie emigrazioni degli Albanesi in questo regno, di persone ricche, nobili, titolate, e quindi da supporle istruite, non recaron seco un lavoro scientifico a dimostrare l'esistenza di una letteratura tra essi. È d'uopo quindi affermare, che il ceto nobile apparava le lettere nel greco linguaggio, che gli atti del loro governo, e di pubblica amministrazione eran tutti scritti in Greco, nell'atto che l'idioma parlato doveva esser l'Albanese, il quale si apprendeva praticamente, e non con metodo studiato, sin dall' infanzia. Infatti dopo la caduta di Costantinopoli, molti Greci letterati, per sfuggire la perfidia ottomana, emigrarono nelle regioni occidentali, recando seco però i tesori delle scienze. Bene accolti in Francia, in Napoli, e in Toscana, essi seppero ispirare da per tutto il gusto e l' ardore per la propria lingua; quindi le opere di Aristotile, di Platone e quelle dei Poeti e degli oratori divennero la delizia delle nostre occidentali contrade, le quali bramavano ardentemente la coltura intellettuale; e si pose compimento al risorgimento delle lettere, dopo aver esse ricevuto il primo impulso nell'ottavo secolo dai Basiliani sparsi in queste Itale regioni. La Grecia dunque, che vantava il tesoro della sapienza, scritta in una lingua colta, originale, soggetta alle scrupolose leggi della Grammatica, un'alfabeto stabile mantenuto immoto tra le vicende del tempo, un Dizionario ricco di tutti i vocaboli, ha potuto diffondere lingua e scienze da per ogni dove, ed agevolare agli amanti del sapere i mezzi di apprenderla, e gustare negli originali le teoriche svariate di quei veri luminari dello scibile. Lo stesso non avvenne degli Albanesi: essi mancanti dei tre primi elementi atti esclusivamente a render colto un linguaggio, non han potuto stabilire una letteratura propria, la quale si aggirerà sempre tra i voti dei nostri desideri, se i dotti connazionali non si applicheranno ai lavori elementari della lingua. La letteratura di una nazione non si crea con quei libri che ci vengon regalati da tratto in tratto, scritti con arbitrario alfabeto, quasi inintelligibili ad onta di ogni sforzo ad interpretarli, e che scorsi venti anni, sembreranno dettati in gergo infernale, ne vi sarà chi si degni accordarli un posto tra gli scaffali della sua biblioteca. Ma si dirà, non abbiamo dei libri in idioma Albanese, che rimontano ad epoca antica? Ve ne sono alcuni, io rispondo, che comparvero dal 1635 al 1743, tutti però scritti nello stesso modo, cioè con arbitrario alfabeto, ed ebbi a riscontrare uno in Roma, che non seppi definire se fosse dettato in Tedesco, in Turco, o in Polacco; ma quale vantaggio se ne ritrae da essi? Nessuno, e fino a che qualche svegliato ingegno tra i nostri compatrioti non si occuperà a raccogliere i vocaboli in un Dizionario, a render stabile un alfabeto, a consacrare i principi in una Grammatica, noi aspireremo invano al bene di poter creare la propria letteratura; e forse perderemo per intero la lingua natia.

Ma conviene por termine alla digressione, e far ritorno al filo del mio racconto.

1 Vedo Enciclop. popol. Articolo Europa. Toro. 5 pago 788